LAGO DI CANTERNO ( Antonella Giroldini)

Nel cuore del Lazio c’è un lago che, oltre a mostrarsi in tutta la sua bellezza, nasconde più di un mistero: il lago fantasma di Canterno.

Si trova vicino a Fiuggi, il lago di Canterno, quella località in provincia di Frosinone nota per il turismo termale che ogni anno, soprattutto d’estate, è un forte richiamo per chi vuole concedersi una pausa e rigenerarsi durante le vacanze. È il maggiore dei laghi carsici del Lazio: ha una superficie di 0.6 kmq, un perimetro di 4.9 km e una profondità massima di 25 metri.

Lo specchio d’acqua della Ciociaria bagna quattro comuni: Ferentino, Fumone, Fiuggi e Trivigliano. Pur trovandosi nelle vicinanze di trafficate strade provinciali, il Lago di Canterno è riuscito a mantenere intatta tutta la sua atmosfera. È circondato da boschi di querce, cerri e latifoglie e permette ai visitatori di ammirare l’airone cenerino, l’airone rosso e la gallinella d’acqua.

Ad essere avvolta da un alone di mistero è anche la data di formazione del Lago di Canterno. In molti la fanno risalire ai primi anni dell’Ottocento, quando vennero inondate le conche fertili della zona in cui giace attualmente, originariamente occupate da campi coltivati. Un abisso diede il via al processo di riempimento della valletta, durato pochi giorni. L’inondazione mandò in rovina diversi coltivatori del luogo ma fece la fortuna di chi sfruttò al volo l’occasione per diventare pescatore.

Il più grande mistero che avvolge il Lago di Canterno e lo stesso che gli vale l’appellativo di lago fantasma, è un singolare fenomeno di instabilità, dovuto ai momenti in cui il fiume Pertuso si svuotava e si riempiva. Il lago, ad intervalli regolari, si seccava sia parzialmente che in maniera totale, per poi apparire all’improvviso in tutta la sua ampiezza. Si trattava di fasi di prosciugamento che potevano durare giorni, mesi o addirittura anni: la più lunga durò dal 1894 al 1943.

a qui un altro mistero: dove andavano a finire i pesci nei periodi di prosciugamento? L’arcano venne risolto proprio nel 1943, quando si diede il via all’esplorazione del Pertuso. La scoperta fu sbalorditiva: l’inghiottitoio del fiume comunicava con una grotta sotterranea dove i pesci andavano a rifugiarsi durante i periodi di prosciugamento. Nel corso degli anni, grazie ad interventi artificiali, il volume del Lago di Canterno è stato regolarizzato, ma la sua peculiare instabilità non è scomparsa del tutto. Essa continua a manifestarsi anche al giorno d’oggi, seppure in una maniera meno scenografica rispetto al passato ma ancora molto suggestiva. Basta osservare l’alberello solitario che si erge dalle sue acque. Nei periodi di piena appare sommerso e in quelli di secca ne fuoriesce interamente: è lui il testimone involontario del Lago Fantasma di Canterno.

CASINA DELLE CIVETTE (Antonella Giroldini)

Questa casa incantata, situata all’interno del parco di Villa Torlonia, è una delle bellezze poco conosciute della Capitale. Il suo nome è legato alle innumerevoli decorazioni di civette riportate nelle vetrate e nelle maioliche, un tema quasi ossessivo voluto dal principe Giovanni Torlonia, un uomo solitario e malinconico che ne aveva fatto il suo rifugio personale.

La struttura fu edificata nel 1840 per volontà di Alessandro Torlonia ed era conosciuta come “la Capanna Svizzera” per via del suo aspetto molto simile a quello di un rifugio alpino. Nel 1908 il principe Giovanni Torlonia Jr, nipote di Alessandro, ne fece la sua dimora apportando una ristrutturazione che stravolse totalmente la vecchia architettura. Furono aggiunte logge, vetrate, porticati e torri decorate con maioliche colorate, fino a trasformarla in una villa dall’aspetto medievale.

Solo nel 1914, quando furono realizzate le due vetrate raffiguranti delle civette, la vecchia costruzione cambiò il suo nome con “La casina delle Civette”. Il Principe Giovanni era un amante della simbologia dell’occulto e scelse la civetta proprio per il suo significato esoterico, infatti, l’immagine di questo animale notturno è un tema ricorrente, riportato più volte nelle decorazioni, negli arredi degli interni e in molti altri punti della casa. Il principe Torlonia, di cui si hanno pochissime informazioni se non il fatto che fosse uomo poco socievole e cupo, che non si sposò mai e che non ebbe eredi, abitò questa casa fino al 1939, anno della sua morte.

La Casina, durante la seconda guerra mondiale fu distrutta dall’occupazione delle forze anglo-americane e, dopo anni di abbandono, nel 1978 fu acquistata dal Comune di Roma e definitivamente danneggiata da un incendio nel 1991. Nel 1992 fu avviato un lungo lavoro di restauro che durò ben cinque anni e la Casina delle Civette è oggi un museo dedicato all’arte della vetrata, un gioiello ritornato al suo antico splendore e restituito alla città di Roma e ai suoi turisti.

Come Viaggia l’ARIETE (Antonella Giroldini)

Ariete (21 /03 – 19/04)

Viaggiare per superare i propri i limiti: affrontare le sfide e vincere!

Citazione: “ti proteggerò dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo (…) ed io. Avrò cura di te” Franco Battiato – La cura.

Il viaggio all’interno dello Zodiaco inizia dall’ Ariete.  Per capire l’essenza di questo segno, bisogna immaginare un terreno incolto, illuminato da un raggio di sole e sotto la terra umida, un seme si fa coraggio e germoglia. L’Ariete è questo: uno slancio vitale di audacia e forza.

Tutta la sua energia è concentrata nell’esplosione, nella partenza a razzo… ogni cosa è qui e ora, vuole tutto e subito, non ha un minuto da perdere. Lo scopo della sua vita è ardere, il fine ultimo della sua esistenza è appunto, esistere. “Io sono” dice l’Ariete.

Quale viaggio gli si addice ad un segno così energico, dinamico e caratterizzato da un bisogno estremo di mettersi sempre alla prova?

La montagna è la sua meta ideale! Lo immagino sulle Dolomiti, per una vacanza a pieno ritmo: scalate, passeggiate, arrampicate e vie ferrate lungo i costoni ripidi e rocciosi. E dopo una giornata di imprese e gite, come recupera le energie? Seduto stanco ma compiaciuto e soddisfatto davanti al lago di Braies con la consapevolezza che sì, di essere bravo,  ma che lo spettacolo che la natura sa donare rimane comunque irraggiungibile da eguagliare, anche per un iron – man come lui!

 E tu? Sei pronto a lanciarti nelle sfide adrenaliniche, magari organizzando una giornata low cost a contatto con la natura, sai sfidare i tuoi limiti? Hai voglia di raccogliere il guanto della sfida dell’Ariete che si muove al motto : “ PER VINCERE SENZA ESSERE VINTI”?

” MAI PIU’ SENZA TORINO (Antonella Giroldini)

Diario di due “extracomunitari” alla scoperta di Torino.

Ci si può inammorare di un luogo e/o di una città tanto da esserne richiamati irresistibilmente? Si può essere “ammaliati” tanto da eleggerlo a “posto dell’anima”? A me è accaduto! Ed il luogo del mio cuore, la mia affinità elettiva è Torino.

Il libro che vi presento questo mese è una speciale e originale guida di Torino, un libro che mi ha conquistato e che forse non avrei mai scelto se non fosse stato regalato dalla mia specialissima guida di Torino, un romano doc, trasferitosi per circa 10 anni nella prima capitale d’Italia.

Mai più senza Torino. Due «extracomunitari» molto speciali alla scoperta della città – Ed. LA STAMPA Espress

I due protagonisti, Jasmina Tesanovic, un artista attivista serba e Brace Sterling, un artista cyberpunk americano ci presentano la città. Questo libro è un po’ guida e un po’ diario, ma è soprattutto una raccolta di racconti sinceri, a volte divertenti a volte drammatici, altre volte grotteschi, altre ancora comici. 

Il modo in cui i nostri due globalisti vivono e visitano la città ci permette di sperimentare una modalità leggera e lenta del viaggio, libera dal programmato e dal previsto.

Un diario sui generis di una coppia insolita di «extracomunitari» famosi e privilegiati, che vivono a Torino e girano il mondo, seguendo una filosofia di vita che consente loro di essere felici e agili nel XXI secolo: essere globalisti, vivere senza patria, senza bagaglio, senza una madrelingua.

Questa lettura regala uno spaccato originale non solo su Torino ma su chi sono e come viaggiano i globalisti.  Ce lo raccontano bene i nostri due protagonisti: “… non siamo turisti a Torino, non siamo emigrati a Torino, ma siamo globalisti a Torino: cioè siamo mobili e, nonostante ciò, qui non abbiamo un’auto. …anche se Torino è la città della produzione delle macchine abbiamo deciso di non averne una. … non avere un’auto è come abbandonare un bagaglio troppo grosso. È un modo di fare la valigia del futuro alla Calvino: con leggerezza e precisione. Giriamo la città solo con i nostri corpi. Usiamo i tram, i bus, i treni…

Tram e bus in città sono pieni di veri torinesi: vecchi, studenti, operai, poveri ed emigrati che vogliono diventare autentici locali. Come globalisti che vivono nei bus e tram incontriamo il fior fiore di gente di Torino ed è uno dei rari posti dove si possono guardare i torinesi per mezz’ora di fila senza imbarazzo. Spesso e volentieri parliamo delle direzioni e dei biglietti con gli altri; …una volta però un tranviere ci ha scacciati al capolinea: ma cosa fate ancora seduti, non ho mica tutto il giorno da perdere! Ma noi abbiamo tutto il giorno da perdere! Ma noi abbiamo tutto il giorno da passare nei tram, non ci dispiace: al contrario! Per questo siamo molto infelici quando certi giorni i numeri dei bus cambiano e spariscono…. 

Come ha fatto il 56 a diventare 55 di domenica? Perché il metrò non va da nessuna parte che ci serva davvero? perché le tre stazioni Porta Nuova, Porta Susa e Dora non sono collegate bene? E alla fine: Torino è perseguitata dallo spettro del futuro chiamato Treno ad Alta Velocità. Come turisti ci piace l’idea; come torinesi, no; come globalisti sappiamo che porterà qui una massa di gente come noi…”

Bruce e Jasmina ci mostrano cosa può accadere nel lasciarsi disorientare dall’imprevisto e rapire dal fascino del luogo fino trasformare un appuntamento che sarebbe dovuto durare solo 15 giorni, “sarebbe diventato (ma all’epoca io non potevo saperlo) un autentico processo di “integrazione”. L’immersione totale e felice di un texano e di una serba nella torinesità. Ma a loro insaputa, il vecchio fascino torinese stava lavorando sodo che alla fine dell’anno di residenza Bruce e Jasmina si scoprirono affetti dal “mal di Torino”, un morbo meno noto del similare “mal d’Africa”, ma non meno fatale. Un morbo i cui i sintomi sono facilmente riconoscibili: citiamo, tra i tanti la tendenza, dovunque ci si trovi, a guardarsi intorno alla ricerca della Mole; le violente crisi di depressione che squassano il corpo e la mente dopo una settimana senza gianduiotti; l’irritabilità irrefrenabile allorché si viene sorpresi dalla pioggia in una città senza portici”. 

Scorrendo i loro racconti è quasi naturale entrare in modalità “viaggio/esploratore”. Per dirla con le parole di Gabriele Ferraris nella Prefazione: “non potrebbero mai essere pigri, vanno sempre fuori a vedere quello che Torino ha da dirti e da darti. Il nostro diario della città e nella città, di come è cambiata con noi: the city always on the move!”. 

E soprattutto scopriamo che i nostri protagonisti sono lietamente partecipi e complici del crogiuolo multietnico di San Salvario, il quartiere dove hanno scelto di vivere “ci siamo trasferiti in una zona nuova d Torino: San Salvario. E ‘un posto famoso, anzi famigerato: ne abbiamo sentito parlare come di un luogo pieno di stranieri che potevano scipparci o ammazzati. Così siamo andati a cercarli. Facendolo però, abbiamo scoperto che siamo noi stessi gli stranieri pericolosi…. 

…. La gente parla una dozzina di lingue e beve le bevande tipiche di cinque posti diversi. Non ci sono americani nel nostro vicinato; un paio di serbi sì, ma a San Salvario i cinesi danno da mangiare ai libanesi, i peruviani riforniscono i somali, e i turchi fanno la pizza agli italiani siciliani. Non si incontrano molti turisti vicino a casa nostra. Perché dovrebbero esserci? Cosa c’è di interessante nel vedere i propri connazionali, se non invidiarli di essere cittadini di Torino? Da abitanti locali abbiamo delle difficoltà a spiegare il nostro amore per San Salvario e Torino: semplicemente se non esistesse dovremmo inventarla…” 

E affrontano così il loro rapporto con la città:

“… Ogni giorno è diverso da quello di prima, sempre una nuova avventura…”

Quella che doveva essere una semplice rubrica – Globalisti a Torino – si è trasformata in questo libro ma ancor prima, per dirla con le loro parole, in rubrica che “è sempre stata speciale, per la Sua intima aura confessionale: ha il tono di quando ci parliamo mentre camminiamo insieme per le strade del mondo. Viaggiare ci piace tanto, ma viaggiare insieme è ciò che preferiamo. Perché i nostri punti di vista, di un uomo texano e di una donna serba, combinano un nuovo punto di vista totale, superiore ai singoli punti di vista. 

Abbiamo talenti diversi nel confrontarci con il mondo, per viverci. Jasmina è brava con le lingue, la gente, le espressioni, le attività, mentre Bruce è a suo agio con le mappe, l’architettura. L’ingegneria, le infrastrutture. Viaggiare da soli a volte è triste, ma farlo insieme diventa un’avventura, un modo di vedere il mondo con due occhi invece che con uno solo. …”

Mi affascina questo dialogo tra i due protagonisti che si dipana durante tutto il viaggio e che mi permette di vedere la città e i suoi risvolti sotto diversi punti di vista. Jasmina e Bruce viaggiano all’interno della città ma contemporaneamente viaggiano anche nell’immagine che ciascuno di loro fotografa di Torino.  Del resto, ognuno di loro per esperienze, cultura e vissuto, “fotografa” alcuni aspetti della realtà attraverso una lente che ingrandisce e focalizza alcuni particolari, mettendoli in primo piano e ne “sfuoca” altri, lasciandoli sullo sfondo. Dal loro confronto e dialogo nasce non solo la scoperta del luogo, della sua essenza ma al contempo anche scoperta di loro stessi grazie all’esplorazione di sé, dell’altro e del luogo. 

Che tipo di viaggiatore sei?

  • Preferisci viaggiare da solo, al tuo ritmo, assecondando i tuoi tempi, ascoltando i tuoi silenzi?
  • Preferisci viaggiare con un compagno con cui scambiare opinioni, confrontare impressioni e vivere le esperienze?
  • Se dovessi affrontare un viaggio in solitaria partiresti, comunque o rinunceresti? Come ti organizzeresti?
  • Ti intriga la sfida, la novità oppure avresti più remore e paure nell’affrontare l’ignoto da solo?
  • Come reagisci ad un cambio di programma? Sai cogliere l’opportunità che un imprevisto può rappresentare?
  • Come scegli di vivere la città? La visiti a piedi? Gli incontri con gli abitanti li vivi a pieno, li cerchi? Cerchi bar, ristoranti o locali frequentati dalle persone del posto?  

Man mano che vediamo Bruce e Jasmina che proseguono la loro conoscenza con la città, scopriamo anche gli ingredienti che ci mettono nel condire il loro viaggio: CURIOSITA’, ENTUSIASMO E MERAVIGLIA.

Bruce e Jasmina ci guidano alla scoperta delle cento Torino che fanno la Torino di oggi. Hanno lo sguardo esperto di chi osserva da sempre il mondo, hanno la curiosità dell’intelligenza e l’entusiasmo dei neofiti. Figli e profeti di un mondo senza più confini, sanno davvero trovare la meraviglia in un incontro per strada, in uno scorcio insolito, nelle piccole cose quotidiane.   E spesso vedono cose che neppure i torinesi di vecchia data sanno vedere. (Dalla prefazione di Gabriele Ferraris).

Mi chiedo…

Come sarebbe incontrare il mondo con questi tre nuovi strumenti? Cosa potrei davvero scoprire di me se mi lasciassi permeare da un luogo, da un incontro, da un esperienza così come hanno fatto Bruce e Jasmina con Torino? I quali al momento di lasciare Torino erano già torinesizzati al punto da decidere di mettere radici nella città che più di ogni altra essi, globalisti giramondo, si sentivano di chiamare “casa” e che gli ha consentito di vivere qualcosa che per loro stessa ammissione non possono dimenticare

Ma quello che non possiamo dimenticare è che non si può nemmeno comprare è il momento della libertà nell’attimo in cui abbiamo trasceso la cultura e natura per diventare altre persone che altrimenti non avremmo mai l’opportunità di essere”

Ti voglio salutare con questa riflessione:
Torino è una città unica in Italia grazie al fatto che il centro della città è pianificato razionalmente. Con una geometria calcolata molto precisamente. Come diceva Calvino: è la regolarità delle strade della città che permette ai cittadini di essere eccentrici”.
Per questo mi sono sorte queste domande per lasciar spazio al Travel Coaching metodo LilaLand © di attivarti nuovi occhi anche quando e se leggerai questo libro:
Come sarebbe se viaggiando in un luogo ti abbandonassi al dis-orientamento al punto da concederti la libertà di scoprire chi realmente sei?
Ti sei mai concesso in un viaggio, in una città, in un luogo di vivere la tua unica eccentricità? Cosa ti ha svelato di te che non avevi mai creduto possibile? 

IL GHIOTTONE ERRANTE (Antonella Giroldini)

La primavera nonostante tutto è arrivata e con lei il risveglio dei sensi: la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto sono le nostre finestre sul mondo e sulle relazioni. Aprirle ci permette di scoprire il mondo, di iniziare una fantastica avventura che ci consente di sperimentarci e di scoprire l’ambiente e noi stessi!

Scritto negli anni Trenta da un giornalista, Monelli, e un suo vecchio amico, il pittore e disegnatore Novello, narra di un singolare tour da un capo all’altro della nostra penisola, tra colori, profumi e, soprattutto, sapori dei prodotti e dei piatti della tradizione nostrana.

IL GHIOTTONE ERRANTE VIAGGIO GASTRONOMICO ATTRAVERSO L’ITALIA – ED. SLOW FOOD EDITORE

Perché l’ho scelto?  Il titolo: “Il ghiottone errante” mi ha subito evocato l’idea che si possa vivere un’avventura a zonzo per l’Italia, conoscendola attraverso i suoi cibi. Ciò che mi ha stimolato la fantasia è che il cibo regionale racconti molto del temperamento e del modo di approcciare il mondo e la realtà degli abitanti di un luogo. E non sono stata delusa!

Cosa puoi scoprire dell’Italia attraverso il gusto?

Il vero regalo di questo delizioso volume è che mette fame di vita, di buon cibo, di gioia e di godimento. Monelli, quando assapora una pietanza, un buon vino o un liquore tipico lo fa con tutti i sensi, certamente con il gusto, ma anche con la vista, l’olfatto e il tatto. Entra in connessione piena con il luogo in cui si trova.

Per continuare la lettura, alcune domande di attivazione

Lo sapevi che la motivazione e il piacere vanno di pari passo? Uno degli elementi che caratterizzano il viaggiare in Travel Coaching è l’uso del piacere come porta di accesso alla propria unicità. E quindi ti invito a tornare in quei momenti in cui il piacere ha fatto da bussola per il tuo peregrinare, proprio come per gli autori di questo libro. 

  • Qual è stato il momento in cui hai scoperpo un nuovo sapore? Dove ti trovavi? Con chi eri?
  • Successivamente quali associazioni si sono create nella tua mente quando lo hai rimangiato? 
  • Quando sei felice cosa ti piace mangiare per celebrare?
  • Quando sei triste qual è il tuo Comfort Food?
  • Quando scegli un ristorante, quali sono le caratteristiche che ti guidano nella scelta?
  • Se dovessi scrivere una guida dei tuoi cibi o luoghi preferiti, come li assoceresti? 

A queste domande segue un percoso fatto di cibi e luoghi. Descrizioni in cui potrai avere la sensazione di compiere un viaggio attraverso il piacere del gusto.

Il viaggio a dispetto di quanto comunemente ci si potesse aspettare inizia nella stagione estiva e non autunnale perché l’Italia, come dalle parole di Monelli stesso: “dai passi d’Appennino in giù è un paese subtropicale, ed ha tutta una scienza del mangiare quando fa caldo, di bevande per l’arsura, di cibi refrigeranti “.

QUANDO TI PIACEREBBE COMINCIARE IL TUO VIAGGIO ALL’INSEGNA DEL GUSTO?

Nella narrazione di Monelli sembra quasi di sentire il refrigerio dalla calura estiva nella Laguna Veneziana, dove la popolazione gusta il cibo più estivo per eccellenza: “il pesce in saòr che si mangia nelle osterie veneziane, in fondo ad una piazzetta morta di sonno o davanti alla laguna di piombo? Rallegra la bocca ed esilera lo stomaco un fresco salmastro fatto si una salsa di aceto e cipolla nobilmente commisti a uva sultanina e pignoli; e vi par di consumare quelle sfoglie, quelle sardelle in un angolo di caverna marina. Beveteci sopra vino di soave e Conegliano secco, che appanna il vetro della caraffa, ed uscirete dalla trattoria, ardendo in cielo la canicola, con l’alacre passo delle passeggiate invernali”.

Leggendo una descrizione di tal genere anche i miei sensi si sono allertati e mi è quasi sembrato di sentire in gola scendere quel fresco vino sentire la pelle d’oca come quando nella canicola estiva finalmente un pergolato all’ombra ci regala la tregua dal sol leone.  Un po’ come raccontano i nostri protagonisti di alcune osterie lungo il Ticino

Così ci siamo messi in giro. Ma ahimè, uno di noi due è astemio, e non ha il mondo più ladro stomacuzzo del suo, e soffre di mal di denti per giunta. Tutta la fatica cadrà sulle spalle dell’altro; sessanta battaglie lo proveranno, oltre alle scaramucce delle merende e della prima colazione”.

E che dire del racconto di una sera estiva lungo i Navigli, dove la descrizione dei colori di un minestrone estivo diventa occasione per un parallelo artistico, paragonando il piatto ad un quadro di Boldini“Siamo lungo il placido Naviglio, una sera di un giorno che fu afoso…. Ecco il minestrone freddo; fra il riso si sbandierano le sue tinte vivaci in gara con quelle della sera, rosso di carote, verde di verze, verde di piselli, avorio di patate, bruno di fagioli, roseo di pomodori; è compatto e succinto, rifresca le viscere, vi stivate il cibo e vi pare di bere alla fonte. Levate gli occhi a quel cielo di battaglia, lo mirate riflesso nell’acqua ferma del Naviglio, vi sentite in comunione con quei colori, li bevete con gli occhi, mangiate il paesaggio. E mentre a poco a poco la sera cancella le fiamme e tutto compone in una serenità cinerea, viene a rallegrarvi la vista ancor prima che il palato la piccata al pomodoro e funghi, rosea e grigi, delicata come un quadro di Boldini……E il momento che compare sulla tavola il gorgonzola, pallido figlio delle caverne scavate nei fianchi dei monti o delle umide cantine, col verde della putrefazione che macula la sua pasta d’avorio antico….spalmiamo questa pasta densa sul pane ; il suo gusto è dispettoso e fiero, e ridesta i precordi dal torpore che vi avevano indotto le fini carni, i gonfi risi, i pingui condimenti”.

Altre volte il racconto diventa quasi fiabesco ed entra in contatto con le leggende del territorio, come cune volte sembra quasi che il racconto diventi quasi fiabesco, come nella narrazione del centerbe di Tocco Casuria: “Dicono che lo distilla un mago scontroso, e lo dà solo a chi gli va a genio. Grande alchimista, ad ogni modo. Se mangiando peperoni e maccheroni alla chitarra ingoiammo l’Abruzzo, bevendo di questa preziosa pietra liquida ci mettiamo in comunione con la grande montagna, con tutto il massiccio di roccia nobile e di gelo splendente che sorge a custodire il cuore d’Italia. Cent’erbe, tutte dei trepidi prati delle altezze; se ne distilla una linfa veemente, mordente, di gagliardissimo aroma, che scatena in bocca la bufera, penetra in tormenta nel cuore…”.

Ed in altri casi il cibo diventa pretesto per raccontare il carattere degli abitanti o la storia della loro origine, come nel caso di Modena o di Sabaudia: “…siamo ancora sbalorditi di questa provincia di Modena dove tutto è grasso tranne lo spirito degli abitanti che è aguzzo e storico, come già annunciò il Carducci.”; “…a Sabaudia … in questa eclettica provincia abbiamo fatto adunata nello stomaco di tutte le province d’Italia, come fuori abbiamo risentito tutti i dialetti. Tagliatelle alla bolognese, pesce alla veneta, pollastrino alla romana, gelati alla siciliana, serviti da un garzone napoletano. Gustosissimo pasto, condito non da questo o quell’intingolo celebrato, ma dalla gioia, dall’esaltazione delle cose vendute; e bevendo un vino piemontese in cui non avevamo chiesto il nome ci sentivamo nelle vene la serenità del risanato crepuscolo”.

O un modo per regalarci dei pittoreschi scorci come nel racconto del pesto di Sestri Levante, del cibo tipico dei vicoli romani’ o della variopinta “napoletanità”. 

Sestri Levante è una delle spiagge più belle del mondo. Il bello di Sestri è questo: che sulla riva accanto ai bagnanti stanno i pescatori; e stanno in secco gozzi e latini e i belli e grandi leudi, velieri possenti e d’alto bordo, bravi a prendere l’alto mare con ogni vento e vanno per vino all’Elba e per fave in Sardegna, e non sono molti anni che bordeggiavano per acciughe sulle coste d’Africa… Allora vennero le trenette al pesto; e ci parve di parve di pascolare da un molle prato primaverile, umido e gonfio di germogli…”;

“… a Roma non si deve mangiare che dove va il popolo; Roma capitale della civiltà moderna ha una cucina più plebea del mondo. Da caprai, da pastori di bufale, da butteri, da navicellai. La cucina romana è saporitissima, aggressiva, policroma; ma è rusticana; e Roma imperiale, papale, diplomatica, quando vuole mangiare di gusto, va a chiedere le ricette al ghetto degli ebrei o ai vicoli della plebe. Questa cucina si manifesta nelle vastissime matrone di Trastevere dai deretani che tappano i vicoli, nell’idioma succoso, sbracato, tranquillaccio, provato sul palato prima di essere fuori, nell’animo altero, strafottente, chiassoso, del popolo. Ama aromi infatti, genuini, forti. Condisce tutto col porco, poco con l’olio, pochissimo col burro: i condimenti classici sono strutto, lardo, guanciale, ventresca… Guardate i piatti di carne, trippa, milza, pagliata (d’orribile aspetto; ma sono interiora di vitellino da latte); e la polpa di tutti gli armenti accampati intorno alle rovine degli acquedotti per la campagna, abbacchio allo spiedo, abbacchio sopra la brace, capretto. Un grande odore selvatico corre le vie solo a nominare questi piatti. E i formaggi sono di pecora molto olente o di bufale selvagge. E i dolci son materiali. Gnocchi di latte, maritozzi, pangiallo, terzetti di Rieti, a basa di noci miele e pepe, serviti su foglie di alloro”;

i napoletani sono sobri, perché sono meridionali, poveri e filosofi razionali. Ma per loro il mangiare e bere è pretesto di svago di vita, di spettacolo colorito. Tutte le strade della Napoli popolare sono solo una strepitosa osteria. D’ogni parte invitano i venditori di cibarie, e per umile che sia la merce è esaltata, stamburata, offerta con seduzioni o provocazioni. …le merci vengono fino in mezzo alle grosse forme di formaggio biondo ingombrando il transito come i carretti della verdura con l’asinello che grufola in un cestone di rifiuti. …i carretti delle verdure sono orti ambulanti … tutto è colore e gridio, il primo cibo penetra qui per gli occhi ….

Valle d’Aosta, Valtellina, Valsàssina, sono 4 o 5 giorni che non abbiamo dinanzi agli occhi che gioghi e vette e campi di ghiaccio e nell’orecchio il fragore dei torrenti ruinosi; son luoghi questi da cercarci le glorie culinarie d’Italia, con tante osterie stravaccate lungo i laghi e i fiumi della pianura , lungo i mari caldi, nel fianco di colli agevoli?…. E abbiamo scoperta con grata sorpresa che non si mangia meno bene fra i monti che al piano. …. La carbonata comparve, spezzatino di manzo in una salsa violacea. Aveva il colore delle ceneri del Vesuvio, la tristezza delle nuvole perse; pareva ci avessero versato dentro una bottiglietta d’inchiostro ordinario. Esitammo, poi ci tuffammo. E la carbonata si rivelò sapidissima cosa, intrisa in cipolla e vino cotto farina e non so quanti sapori di pascolo. Mangiammo con impegno; e ci dava il tempo u vino onesto e colorato. Poi ci rinverginò la bocca il liquore fatto con l’Artemisia glaciais, il genepì; e c’invase un tepore di sole come fossimo sdraiati sul prato sotto il nevaio, risentimmo il gusto della terra umida, delle erbe alpine, della neve primavera. Genepì, liquore dei vecchi alpinisti, quasi quasi per te rinnegammo la grappa”.

Quanto siamo disposti a sperimentare questa ricerca del “gusto”?

Prima di lanciarti nella lettura del libro ti lascio con alcune riflessioni: il cibo entra nella vita di ognuno di noi, così come in quella di chi racconta la storia, perché gli uomini passano un bel po’ del loro tempo a mangiare e bere o a non poterlo fare. Lo fanno in maniera diversa a seconda di chi sono, dove sono e con chi sono ed è curioso notare le differenze in questo senso in un libro ambientato in Italia, negli anni Trenta, nella Sicilia di oggi o in un’isola che non c’è. E tu come lo fai?

Se il piacere potessimo trovarlo anche nel nostro quotidiano?

Quali descrizioni ti hanno evocato sensazioni piacevoli, quali ti hanno acceso i sensi? Quali cibi ti hanno disgustato? Quali ti hanno fatto venire “l’acquolina in bocca”? 

Di tutte le informazioni che hai letto quali ti sono rimaste più impresse?

Prova a metterle nero su bianco sul tuo quaderno di viaggio e, osservandole, rispondi a questa domanda: tu come assapori il cibo, il mondo, la vita?

Ti è piaciuto il libro?

Ti ha fatto venire voglia di un viaggio gastronomico?

E’ il momento di scegliere un posto speciale a te vicino per vivere a pieno l’esperienza gastronomica attraverso tutti i tuoi sensi?

Chissà che tu non scopra oltre al gusto nuove modalità di contatto e magari si attivino nuove modalità di viaggio che risuonano dentro ogni viaggiatore Dis – orientato.

SERRA MORESCA (Antonella Giroldini)

Progettato intorno al 1839 dall’architetto veneto Giuseppe Jappelli, il complesso della Serra Moresca di Villa Torlonia torna alla sua originaria bellezza dopo due fasi di restauro. La prima, tra il 2007 e il 2013, ha riguardato il recupero dell’edificio da una condizione di fortissimo degrado, con un ripristino fedele dell’assetto originario, sia nella parte strutturale che in quella decorativa. Nella seconda fase, da poco conclusa, oltre a ulteriori interventi conservativi sulla Serra, si è invece provveduto all’allestimento e messa in esercizio dell’intero complesso come spazio museale.
Progettati dall’architetto Maria Cristina Tullio, questi ultimi lavori sono stati effettuati sotto la direzione tecnico-scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed eseguiti da Zètema Progetto Cultura.

Basato su uno studio accurato della documentazione grafica e fotografica e sulle descrizioni dei luoghi di Giuseppe Checchetelli, l’allestimento odierno della Serra Moresca ne mette in risalto le caratteristiche architettoniche originarie, di grande suggestione e rilevanza storica. La visita inizia dalla Serra, stupefacente padiglione da giardino con una struttura in peperino, ghisa e vetrate policrome che fanno da cornice alla fontana interna, oggi di nuovo attiva, e a una raccolta di Palme, Agavi, Ananas e Aloe, piante e specie arboree compatibili con la vocazione originaria dell’ambiente.
Si prosegue attraverso la Grotta artificiale pensata come il luogo della Ninfa (Nymphae Loci), con i suoi resti splendidamente illuminati, le cascatelle e i laghetti dove oggi tornano a vivere ninfee e fiori di loto.
È uno scenario storico naturalistico da ammirare lungo il percorso di visita insieme alla vista, dal basso, della Torre, imponente costruzione caratterizzata da ampie finestre con intelaiature in ghisa e vetri colorati che nascondono, all’interno, pareti riccamente decorate da stucchi policromi.

Inserito nel circuito dei Musei di Villa Torlonia, il complesso della Serra Moresca è aperto al pubblico da mercoledì 8 dicembre con un orario, in vigore fino al 31 marzo, che va dalle ore 10.00 alle ore 16.00, dal martedì alla domenica (chiusura il lunedì). A partire dal 1° aprile e fino al 30 settembre, l’orario di apertura è dalle 10.00 alle 19.00 con l’eccezione di luglio e agosto in cui il complesso rimane chiuso per ragioni climatiche.

VIAGGIARE CON IL SEGNO DEI PESCI (Antonella Giroldini)

(20 /02 – 20/03)

Fare rafting immersi tra le correnti dei i torrenti emozionali

Citazione: “io ti sento passarmi nella schiena. La vita non è in rima per quello che ne so”.

Soundtrack – Ti sento – Luciano Ligabue

I Pesci sono molto a loro agio nel mondo dell’immaginario. La loro vita è scandita e sintonizzata con il mondo delle emozioni.

Tutto ciò che ha a che fare e che abita nel mondo della fantasia e dell’immaginario li fa sentire bene. Loro hanno spiccate sensazioni e vivono “sentendo”.

👉Dove si dirige un segno d’acqua, dolce, sensibile e sognatore?

Come l’acqua siete veloci, scorrete. Ma questa fluidità che vi contraddistingue è anche sinonimo di facile influenzabilità.

🎯Scegliere un luogo dove andare in vacanza, per voi dei Pesci, può sembrare un’impresa!

Ed allora vi invito a guardarvi dentro e scegliere una meta in cui stare bene!

Per voi che siete governati dal mistico Nettuno, ho pensato al Il lago D’Orta che potrà essere fonte di ispirazione e serenità allo stesso tempo. Ameno e Orta San Giulio saranno luoghi che sapranno restituirvi l’incanto del silenzio e la gioia delle piccole cose.

Siete pronti a viaggiare come il nostro amico Pesci?

Vi divertirete a gironzolare tra i paesi adagiati lungo il perimetro del Lago e ad ascoltare le voci nei vicoli, ammirare la pienezza della vita di paese, perdersi camminando tra piazzette e botteghe.

😍Come vi trovereste a viaggiare perdendovi nel romanticismo del lungo lago ed apprezzare lo scorrere lento della vita e l’ispirazione malinconica e inspiegabile che solo il lago sa trasmettere? E magari sognare seduti su una panchina fronte lago, tra le pagine di Gianni Rodari, Italo Calvino e Gabriele Salvatores?

TRAVEL BOOK COACH …SACRO ROMANO GRA (Antonella Giroldini)

Il GRA non è una strada come le altre. “È la spina dorsale di un territorio in perenne fermento, un vulcano attivo che produce la sua lava, fatta d’identità perdute e riconquistate, territori strappati, luoghi in attesa, domande inevase e qualche mistero …”

SACRO ROMANO GRA” DI NICOLÒ BASSETTI, SAPO MATTEUCCI, EDITO DA QUODLIBET HUMBOLDT

Voglia di viaggiare tanta ma freno a mano ancora un po’ tirato ed allora che fare? Lanciarsi in quello che offre il territorio di prossimità e farne un’avventura!

Pensando alla massima di Marcel Proust : “ viaggiare non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, ho scelto questo libro di cui ti parlerò in chiave Travel Coaching.

Questo libro ci suggerisce un modo nuovo di procedere lungo le strade conosciute, un po’ come fanno i nostri protagonisti, percorrendo il GRA. Del resto loro stessi all’interno del testo ci spiegano in questo modo il titolo evocativo: “Il titolo Sacro romano GRA allude alla ricerca cavalleresca di un elemento numinoso e trascendente. Talismano di un altro mondo (sacro significa anche separato)”

Cosa puoi scoprire del tuo territorio cambiando modalità?

Mi piace l’idea alla base di questo libro di mettere in primo piano e prestare attenzione al GRA, il Grande Raccordo Anulare, 70 chilometri della più lunga autostrada urbana d’Italia, luogo mai riconosciuto come protagonista dello sviluppo della Capitale, ma che più di ogni altro ne riassume i caratteri e la complessità.

Prima alcune domande di attivazione

C’è qualche luogo nella tua città che “bazzichi” quotidianamente ma non vedi? Ovvero un posto, una strada o semplicemente il percorso che quotidianamente ti porta da casa a lavoro che percorri in velocità ma non ti dai il tempo di vedere, gustare e vivere?

E se gli dedicassi tempo?

Se come in una caccia al tesoro “scovassi” i particolari, cosa potrebbero svelarti di te portandoli in primo piano?

Questo libro è il racconto di un viaggio a piedi e con altri mezzi (autobus, metropolitana, treno) alla scoperta del territorio lungo il Grande Raccordo Anulare. Il viaggio compiuto dai protagonisti è di 300 kminterrotto e ripreso con tappe di diversa durata (un giorno, una settimana, talvolta un mese), condotto con un unico unico must essere “pronti a ogni deviazione, abbiamo puntato sulla tendenza e lo smarrimento metodico”.

Il libro è la narrazione dell’incontro di strade antiche e nuove e del dialogo con le persone che abitano questi luoghi “dove l’antico si è annodato al contemporaneo e l’abbandonato è stato riciclato… metamorfosi perenni che non permettono alcuna definizione certa. Tutto cambia velocemente nei territori del Raccordo”.

Il camminare è anche questo parte fondamentale della narrazione e dell’esperienza. Il rallentare consente di scoprire la natura selvaggia e incontaminata, ma anche di scoprire con occhio nuovo quelli che solo apparentemente sembrano non-luoghi, e che invece visti da vicino, al ritmo lento di 4 km all’ora sono oasi, isole, storie, e persone. Anche senza conoscere Roma e i luoghi raccontati, il libro fa riflettere e fa venir voglia di vederle queste borgate e queste periferie, camminandoci dentro.

Ed è così che nella lettura ci avventuriamo nelle cave romane di tufo rosso che hanno ospitato carnevali ottocenteschi; il mondo lunare di Malagrotta, la più grande discarica d’Europa; la fattoria modello di Mussolini; i piccoli e grandi accampamenti; le tombe pop del Cimitero Laurentino; la guerra per le anguille sul Tevere; le vecchie borgate dei braccianti e le gigantesche architetture sociali; le transumanze dei pastori e le oasi equatoriali.

Quasi tutti i personaggi protagonisti dei racconti hanno rivelato una grande capacità di sperimentare e inventare, radicata nei luoghi in cui vivevano; per molti una scelta, per altri una necessità. Ma la differenza non è poi così netta.

Ed è così che ad esempio, lungo l’Appia Antica (prima tratto – Vis et Vitus) mentre si va verso il suburbio di oggi percorrendo la più bella via di ieri ci si imbatte in una freccia – “Gruppo Storico Romano” – Quando si arriva ci si trova nel castrum dei legionari, fra un nugolo di pertiche acuminate, elmi e loriche. Ci si trova nel quartier generale dell’archeologia sperimentale, come la chiamano i personaggi che l’hanno inventata, perché ricreano oggetti funzionanti e modi di vita dell’antica Roma, utilizzando direttamente le fonti dei classici, da Polibio a Tacito a Svetonio. E loro stessi ci svelano la loro attività: Facciamo anche escursioni mirate. L’ultima alla Cloaca Massima, forse la più bella fogna al mondo. Ricoperta di marmo accoglie egregiamente le copiose direzioni del centro storico”.

E proseguendo lungo il secondo tratto dell’Appia Antica, all’incrocio con il vicolo delle Sette Chiese, chiedendo informazioni a un benzinaio, i nostri “viaggiatori urbani” incappano in una specie di gabbiotto trasparente, una specie di stambugio dell’universale. Ci sono lucchetti per motorini, catene, cavi elettrici, grattugie, bicchieri. Tutto o quasi in copia unica, come un “abat – jour in stile alessandrino”, una stampa di “Roma desaparecida”. “Meno male c’ho sta passione dell’antiquariato del recente, che mi permette di arrotondare. Vendo anche in conto vendita e ho un magazzino all’aperto, qui dietro con le frasche, con la roba che non sente la pioggia: vasi, giocattoli di plastica, tubi di gomma. E ‘quasi tutto usato e garantito da me, ma qualcosa è nuovo: le biciclette inglesi che vengono dal catalogo con la raccolta punti della Q8 e qualche gioco ancora incartato, come lo Scarabeo o la dama portatile. Massimo mi racconta che a questa latitudine il lavoro è molto bello e interessante, perché l’incrocio è davvero importante… È bastardo con le sue precedenze per chi gira da sinistra. Di solito si rispetta l’Ardeatina, ma poi ti becca quello che viene diritto da via delle Sette Chiese, ch’è un po’ storta… ho testimoniato almeno in una quarantina d’incidenti, propendendo per il concorso di colpa. La sera dopo la chiusura, ci facciamo un campari soda o uno spritz, però con l’aperol. Gli amici portano qualcosa a turno e si ferma anche qualche automobilista. … Massimo, il benzinaio – trovarobe – testimone oculare seriale.

Nel viaggio in Travel coaching Rallentare, dis-orientarsi, fermarsi a parlare con gli sconosciuti, scoprire storie mai ascoltate è parte integrante del processo di metamorfosi del viaggiatore. 

Questo libro ci suggerisce un modo nuovo di procedere lungo le strade conosciute, un po’ come fanno i nostri protagonisti, percorrendo il GRA. Del resto loro stessi all’interno del testo ci spiegano in questo modo il titolo evocativo: “Il titolo Sacro romano GRA allude alla ricerca cavalleresca di un elemento numinoso e trascendente. Talismano di un altro mondo (sacro significa anche separato)”.

Quanto siamo disposti a sperimentare questa ricerca del “separato”? di quello che è ancor sullo sfondo, per portarlo in piano?

Quanto siamo disposti a rischiare? Uscendo dal binario, dal tracciato, dal seminato per raggiungere quel che sembra a portata di mano, ovvio, scontato? Perché a volte raggiungere ciò che è a portata di mano può rivelarsi un’impresa ancora più ardua che quella di prendere un volo per andare altrove.

Siamo disposti ad affidarci all’istinto e riprendere, ricominciare, tentare di nuovo a scoprire quello che possono offrirci le strade “conosciute”? 

E se anche noi procedessimo lentamente in macchina, contemplando quello che c’è fuori dal finestrino? E se in questa perlustrazione del “noto”, guardando e immaginando, ci permettessimo di fantasticare e di incuriosirci, fermandoci quando vediamo qualcosa che c’ispira, imboccando la prima uscita, cosa potremmo incontrare?

“appena fuori dal grande nastro d’asfalto, comincia un intreccio diabolico di capillari, sottopassi e strade che spesso finiscono contro un muro, oppure ti portano chilometri in fuori”.

E se la magia dell’altrove potessimo trovarla anche nel nostro quotidiano?

Seguendo fino in fondo il progetto di questo gruppo di lavoro ti suggerisco la visione del “documentario/film che è stato tratto dal libro stesso e che ha vinto a Venezia.

Magari già questa visione potrebbe evocare in te qualcosa e chissà che non risuoni in te la Metamorfosi , parola di antica memoria e che i nostri esploratori usano per sintetizzare la loro esperienza di viaggio metropolitano: “ Le terre del Raccordo, che abbiamo attraversato con la mappa della regione e la bussola del caso. Non sapremmo sintetizzarla se non tornando al vecchio Ovidio . L’Unica parola che ci viene in mente è metamorfosi, cambiamento: nulla muore nell’infinito mondo, credi a me, ma cambia faccia”. In questo viaggio, non nell’antichità, bensì nella contemporaneità, abbiamo sentito che queste categorie temporali si frantumavano e si ricostruivano, come le macerie del moderno e la prepotenza dell’antico. Siamo finiti dentro un pack di epoche ma anche di spazi contrastanti, in cui ogni lastrone cozza, si accosta, si sfalda o va alla deriva”.

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Per concludere lascio a te due parole: meraviglia e tesoro.

Con l’augurio che gli occhi della meraviglia ti portino a trovare un tesoro anche nel tuo viaggio quotidiano.

Ti è piaciuto il libro?

Di tutte le informazioni che hai letto quali ti sono rimaste più impresse?

Quali hanno attivato in te il desiderio di scoprire terre conosciute?

Comincia da oggi ad esplorare il luogo che abiti e condividi con noi le tue scoperte sul gruppo facebook “Viaggiare in Travel Coaching”.