Castello D’Albertis domina la città di Genova affacciandosi sul porto dalla collina di Montegalletto. Ideato dal Capitano Enrico Alberto D’Albertis con il gusto del collage architettonico e del revival neogotico, è stato eretto su resti di fortificazioni cinquecentesche e tardomedievali tra il 1886 e il 1892 con la supervisione di Alfredo D’Andrade. Alla sua morte (1932) il capitano dona il castello e le sue collezioni alla città di Genova, restituendole non solo la dimora da lui stesso fantasiosamente arricchita di rimandi esotici, neogotici ed ispano-moreschi, ma anche un pezzo della storia di Genova: un bastione della cinta muraria cinquecentesca contenente i resti basamentali di una torre della precedente cinta medievale, su cui poggia la costruzione del castello stesso.
Le Meridiane Per scandire il tempo durante le sue soste sulla terraferma, tra le torri, le logge e le terrazze della sua dimora, il capitano si è costruito 10 orologi solari dalle più svariate forme e dall’immancabile motto di accompagnamento: lastre marmoree incise o dipinte ad acquarello con evanescenti fate colorate che si tendono la mano a rappresentare le ore, enigmatici bacini metallici con annotazioni astronomiche, globi su colonnine avvolti nelle tenebre della notte o nella luce del giorno, il busto di Colombo con il suo testamento…
La presenza di acqua calda in questo lago ha da sempre stimolato la fantasia degli abitanti, dando origine a varie credenze e leggende.
La più nota ha come protagonista Manfredo, giovane conte di Monticelli, il quale soffriva di una malattia alle gambe che non gli dava pace. Dopo aver sperimentato senza successo numerose cure, il dolore che lo affliggeva divenne sempre più acuto, impedendogli di dormire. La notte di San Giovanni, non potendo trovare pace, si recò fin sulle sponde del lago di Lispida, a meditare sulle sue sfortune. Il giovane sfortunato aveva deciso di gettarsi nel Lago di Lispida. Ma prima che potesse realizzare il suo proposito, sentì un canto melodioso e dalle scure acque del lago emerse una bellissima fanciulla mezza donna e mezzo pesce, la quale commossa dal dolore del giovane decise di aiutarlo. La sirena si immerse e dal fondale portò in superficie del fango bollente con il quale coprì le membra malate di Manfredo.
La Sirena poi si mise a cantare, e assieme alle membra il giovane sentì anche il cuore andargli in fiamme. Il conte, guarito, giurò il suo amore eterno alla sirena, da essa ricambiato. I due si videro per alcune notti, ma la Sirena fu scoperta dal re dei fauni, che in segno di castigo per aver tradito le sue genti la condannò a essere donna.
La leggenda vuole che la Sirena non si fece più vedere. Ancora oggi lo spirito del conte di Monticelli si aggira di notte nei pressi del lago invocando la sua amata, ma secondo la leggenda solo durante la notte di San Giovanni Battista i due innamorati si riescono a rincontrare e chi si trova nei paraggi può udire il canto melodioso della sirena provenire dal fondo delle acque. Da allora, poi, i fanghi degli Euganei iniziarono a ridare a molti la salute. E nella notte di San Giovanni sono in molti a giurare che dal fondo del lago si senta ancora il canto felice della sirena.
Leggenda tratta dal libro “Guida alle Terme e al Benessere in Italia “di Soldavini e Giuseppe Piccolo, ed. Magenes
Il lago di Lispida si trova tra Monselice e Battaglia Terme e si estende ai piedi del versante orientale del piccolo monte da cui prende il nome. Il Lago si può raggiungere tramite una breve passeggiata lungo il sentiero che costeggia i vigneti della tenuta di Villa Italia.
Quanto sei disposto a partire portando nel tuo zaino, il tuo miglior sorriso?
Mi colpisce di questa leggenda il processo di guarigione che l’incontro con qualcuno di sconosciuto ed inatteso può generare in noi. E come spesso avviene in viaggio, se siamo disposti ad andare incontro all’ignoto con un sorriso ed il cuore aperto, magari potremo scoprire che le parole di uno sconosciuto, il suo sorriso o una condivisione, possono essere la chiave per innescare in noi un nuovo modo di guardare il nostro quotidiano, o scoprire una risorsa dentro di noi che possiamo portarci anche nel nostro quotidiano.
Partenope è la sirena, il cui ventre ha generato la città del Vesuvio
città di una bellezza sacra e profana; forse frutto di un amore impossibile, non corrisposto da parte di Ulisse: A quel rifiuto la sirena reagì gettandosi nelle dolci acque del golfo, senza sapere che sarebbe rinata come dea immortale per l’eternità. La sirena si adagiò su uno scoglio e da quel momento le sue spoglie si mutarono in terra e vegetazione… una geografia sacra unica al mondo che spiega perché gli abitanti di Napoli vivono la città in maniera viscerale. Lo si evince anche dal significato del nome Partenope, vergine e fecondante, da cui deriva la parola parto. Sullo scoglio di Megaride, la sirena, concepì quella che sarebbe diventata Nea Polis…. Dalle sue code bicaudali, tentacolari iniziò la sua trasformazione. Il suo volto formò Caponapoli, il suo corpo corrisponderebbe all’attuale Largo Corpo di Napoli, e le sue estremità avrebbero generato Piedigrotta. Il su sangue cadde in mare generando Corallium rubrum, potente talismano per proteggere dal malocchio. Un ulteriore dono ai napoletani che ne fecero una fiorente attività per tutto il mediterraneo, un albero in mare costituito da terra acqua fuoco aria e…sangue magico…
Storia tratta dal libro: “Sirene, tra luoghi e leggende – Edizioni De Ferrari”
L’ho scelto perché sin da piccola, come l’autrice del libro, ho amato “La sirenetta” di #Andersen e soprattutto perché ho la curiosità di scoprire se anche l’Italia è terra di #Sirene. Se anche nel nostro paese ci solo leggende legate a queste creature mitologiche. parole: natura, contatto con gli elementi e vita all’aria aperta.
NEL NARRARVI IL MITO DI PARTENOPE VOGLIO PORRE L’ACCENTO SUL RIFIUTO E SU QUELLO CHE DA QUEL RIFIUTO È NATO.
Partenope fu rifiutata da Ulisse e questo fece sì che non solo fosse trasformata in una Dea ma dal Suo dolore nascesse la città di Napoli. Da questo fatto volgio condividere con voi alcune domande che mi sono sorte spontaneamente:
se il fallimento fosse una benedizione?
Se ci permettesse di attivare nuove risorse e ci portasse sulla nostra vera strada?
La Sirena Partenope aveva, comunque, in serbo un altro dono per la città di Napoli: la #pastiera napoletana, una torta straordinaria che rinchiude in sé come un prezioso scrigno il profumo intenso della primavera. Si narra che la sirena Partenope decise di decretare come sua dimora il golfo di Napoli. In primavera si avvicinava alla costa, attratta dall’allegria della gente, omaggiandoli del suo suadente canto per ringraziarla della loro gioia. Il cuore dei Napoletani è generoso, e quindi decisero di ringraziare a loro volta la sirena donandole cose semplici ma preziose più dell’oro. Vennero scelte sette fanciulle ognuna provenienti da un diverso villaggio del golfo, per portare i doni a Partenope. 7 ragazze per 7 doni: la farina, simbolo di forza e ricchezza della terra; la ricotta, simbolo di abbondanza e generosità; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero bollito nel latte, omaggio dei due regni della natura, vegetale e animale; l’acqua di fiori d’arancio, che è il profumo della terra campana; le spezie in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, come metafora del canto della sirena unico in cielo, in terra e in tutto l’Universo. Felice, Partenope si inabissò con tutti i doni che a sua volta consegnò agli dei, i quali presi dal dolce canto della Sirena iniziarono a unire e miscelare tutti gli ingredienti facendone un dolce irresistibile. Così nacque la pastiera e in memoria di quel giorno, vennero posate sull’impasto 7 strisce incrociate a losanghe.
Nel narrare questa leggenda voglio porre l’accento sul potere della gioia, del sorriso e dei doni che possiamo ricevere quando andiamo in viaggio con apertura mentale e di cuore.
Come scrive Ilaria Vigo nel Suo: “Travel Coaching Dis – orientarsi e Scoprire la Magia della Vita “, Talent Edizioni : “ SORRIDI: “Non sorridiamo perché qualcosa di buono è successo, ma qualcosa di buono succederà, perché sorridiamo “Proverbio Giapponese.
“Non possiamo mai sapere cosa creerà il nostro sorriso nella persona che incontriamo, ma è sicuro che creerà un movimento.”
Quale avventura potrai vivere grazie al prossimo sorriso? Un viaggiatore Dis -Orientato fa del suo sorriso uno strumento: ha la consapevolezza che un sorriso autentico, che fa parte del cuore, dalla voglia di essere presenti a quegli occhi, a quel tramonto a quella situazione, potrà portare buona fortuna al suo viaggio e al suo incontro”.
Ti saluto con il desiderio di lasciarti il mio mantra preferito di viaggio: Viaggia, sorridi, apri il cuore e stanne certo qualcosa di cui essere grato accadrà!
COME MAI IL TRAVEL COACHING USA MITI & LEGGENDE?
La narrazione mitologica ha il potere di inviare svariati messaggi e di attivare il paragone tra il noto e qualcosa che non conosciamo ancora. Il potere evocativo del mito sta nell’usare il racconto come grimaldello per far si che il luogo trasmetta al viaggiatore nuove ispirazioni filosofiche che facilitano un nuovo approccio alla scoperta di sé. Il luogo diventa, quindi, un Setting Trasformativo in grado di offrire a chi viaggia, anche grazie alla narrazione mitologica, un’amplificazione di significati, e la scoperta di soluzioni sorprendenti a volte anche un po’ magiche. Questa dimensione dominata dall’emotività, dalle sensazioni, dalle risonanze apre la porta al potenziale di ognuno di noi.
Si narra che un tempo lontano a Burano abitasse un pescatore bellissimo di nome Nicolò…
Burano è famosa per la bellezza delle case, per le prelibatezze da veri intenditori e soprattutto per una creazione artistica artigianale eccezionale, ovvero il merletto. Le merlettaie sono dotate di un talento innato unito a un sapere tramandato di generazione in generazione. Il merletto ha un’origine davvero sorprendente: una leggenda antichissima narra di un amore da fiaba.
Storia tratta dal libro: “Sirene, tra luoghi e leggende – Edizioni De Ferrari”
L’ho scelto perché sin da piccola, come l’autrice del libro, ho amato “La sirenetta” di #Andersen e soprattutto perché ho la curiosità di scoprire se anche l’Italia è terra di #Sirene. Se anche nel nostro paese ci solo leggende legate a queste creature mitologiche. parole: natura, contatto con gli elementi e vita all’aria aperta.
Questa leggenda narra di un amore magico e di un dono venuto dal mare
Si narra che un tempo lontano a Burano abitasse un pescatore bellissimo di nome Nicolò, lo scapolo più ambito. Alto, biondo, occhi verdi, e il suo fisico era tonico e muscoloso. Tutte le ragazze lo volevano, ma lui era innamorato di Maria. Maria era una fanciulla taciturna dai capelli lunghissimi, castani, le sue labbra rosa, incantavano i paesani che la sognavano… Tutti sembravano felici di quell’unione, ma si sa che dietro al sorriso di facciata molti erano invidiosi dell’idillio. Pochi giorni prima delle nozze Nicolò andò in mare a pescare quando cominciò a sentire una melodia dolce da lontano. Da lontano vide avvicinarsi tre pesci – almeno così sembravano – con le code di diverso colore. Circondarono la barca e dall’acqua si svelarono: sirene dai visi bellissimi, una dai capelli rosso corallo, un’altra con gli occhi azzurri come l’acqua più pura e l’ultima cantava come un usignolo. Le Sirene lo invitarono in acqua, ma Nicolò non si fece incantare e nella sua mente comparve subito l’immagine di Maria la sua futura sposa…. Come se lo stesse proteggendo.
Le Sirene deluse, rimasero colpite dal vero amore che legava Nicolò e Maria in uno stretto nodo…come quello saldo delle ancore. Allora le sirene donarono un magnifico ricamo, creato con la schiuma del mare, in segno di rispetto per quel sentimento così forte come una magia. L’uomo donò l’oggetto magico alla sposa il giorno del matrimonio e Maria, felice del suo splendido merletto, si mise all’opera per ricrearlo…. Nacque così il merletto di Burano e la sua tradizione di donneartigiane. La leggenda narra di un antico legame con il mare: il primo merletto fu infatti un dono della regina delle sirene a un pescatore di Burano, quale ricompensa per la fedeltà dimostrata dal giovane nei confronti della futura sposa. La bellezza del dono, nato dalla spuma del mare, fu tale che le donne del luogo decisero ben presto di imitarne la trama E diedero vita alla fiorente produzione locale.
E questo mi fa pensare a quello che accade in un viaggio in Travel Coaching quando ci permettiamo di vivere a l’esperienza l’incontro con il luogo, possiamo attivare nuove risorse e magari scoprire i nostri talenti nascosti.
Da questa leggenda mi sono nate spontanee queste due domande che voglio condividere con voi
Cosa accade nel mio quotidiano, quando mi permetto di attivare e riconoscere i miei talenti nascosti? Cosa sono in grado di nuovo in grado di nella mi vita?
COME MAI IL TRAVEL COACHING USA MITI & LEGGENDE?
La narrazione mitologica ha il potere di inviare svariati messaggi e di attivare il paragone tra il noto e qualcosa che non conosciamo ancora. Il potere evocativo del mito sta nell’usare il racconto come grimaldello per far si che il luogo trasmetta al viaggiatore nuove ispirazioni filosofiche che facilitano un nuovo approccio alla scoperta di sé. Il luogo diventa, quindi, un Setting Trasformativo in grado di offrire a chi viaggia, anche grazie alla narrazione mitologica, un’amplificazione di significati, e la scoperta di soluzioni sorprendenti a volte anche un po’ magiche. Questa dimensione dominata dall’emotività, dalle sensazioni, dalle risonanze apre la porta al potenziale di ognuno di noi.
IL GIARDINO DELLE PEONIE DI VITORCHIANO si trova nelle vicinanze di Viterbo, a settanta chilometri da Roma, ai piedi dei Colli Cimini.
E’ conosciuto anche con il nome Centro Botanico Moutan, raccoglie oltre 250.00 piante, tra cui circa 600 differenti varietà di peonie, alle quali fanno da cornice lecci, cipressi, querce ed ulivi secolari.
Si estende su quindici ettari circondati dalla natura fascinosa della Tuscia, in un ambiente dal forte impatto storico-artistico.
Non c’è da andare lontano per scoprire giardini fantasiosi del XVI secolo, antichi borghi arroccati su speroni di roccia, palazzi e città medioevali.
Nello stesso giorno della tua visita al Centro Botanico Moutan riesci a visitare uno dei seguenti luoghi:
Anche in Italia si trova un Moai, uno dei pochi esistenti al mondo fuori dall’Isola di Pasqua. Si trova a Vitorchiano, un borgo di origine etrusca, a pochi chilometri da Viterbo. Questo il Moai non lo sa e fissa il paese dalla sua sistemazione del belvedere. Il Moai di Vitorchiano non è antico: è stato scolpito nel 1990 da undici indigeni Maori dell’Isola di Pasqua, invitati dalla trasmissione RAI “Alla ricerca dell’Arca“, a realizzare uno dei più fantastici programmi di “gemellaggio” culturale. Poiché gli originali Moai dell’isola di Pasqua si stanno deteriorando, la televisione di Stato si adoperò per scovare una pietra vulcanica simile a quella delle cave dell’Isola di Pasqua per poterne costruire uno nuovo. La trovò proprio qui: un enorme blocco di peperino del peso di trenta tonnellate. Fu scolpito, con asce manuali e pietre taglienti, da undici indigeni maori della famiglia Atanm, provenienti dall’isola di Rapa Nui (Cile). “Il Moai – spiegarono i costruttori dopo aver danzato intorno al blocco di peperino che a poco a poco prendeva forma – è una scultura sacra: porta prosperità al luogo che osserva, a patto che non venga mai spostato. Se viene mosso dal punto in cui viene scolpito, provoca grandi sciagure.”
Calcata è un piccolo comune della provincia di Viterbo che, sebbene si trovi a soli 40 chilometri da Roma, è riuscito a conservare intatti i propri patrimoni storico e naturale. Il centro storico di Calcata, arroccato su una montagna di tufo, domina la verde Valle del fiume Treja. Al borgo si accede dall’unica porta che si apre sulle mura. Oltrepassando il portone d’ingresso si fa all’improvviso un salto indietro nel tempo.
Il paese vecchio di Calcata si erge su uno sperone tufaceo sulla valle del Treja: al borgo si accede dall’unica porta che si apre sulle mura.
La chiesa del Santissimo Nome di Gesù si trova nel paese vecchio. La sua struttura risale al XIV secolo, ma è stata ristrutturata nel 1793 per volere della famiglia dei Sinibaldi. Nella chiesa, costituita da un’unica navata e con il soffitto a capriate, sono conservati un fonte battesimale, un’acquasantiera del XVI secolo e un tabernacolo a muro. Dietro l’altare si trova una serie di pitture che rappresenta storie del Cristo.
Il complesso di Monte Gelato, con la torre medievale, l’antico mulino ad acqua, le cascate lungo il fiume Treja, è non solo uno dei luoghi più noti del Parco Valle del Treja, ma costituisce un importante polo di attrazione turistica per tutto il territorio circostante. Frequentato dall’uomo fin dall’età preistorica, il sito conserva tracce dei molteplici insediamenti succedutisi nel tempo: dai resti di una villa romana del I secolo a.C., all’insediamento agricolo del secolo VIII d.C., al mulino ad acqua realizzato nell’800 e rimasto attivo sino agli anni ’60 del secolo scorso. Particolarmente amato dagli sceneggiatori di cinema e pubblicità, costituisce per il Parco una naturale e privilegiata porta di accesso.
l Santuario è arroccato sulla sommità di una rupe ben difesa nelle valli del Sorbo, al confine tra i Comuni di Campagnano e Formello. Il luogo fu abitato sin dal medioevo, ma le prime notizie risalgono al 996 quando viene menzionato come ” castellum “, forse sorto a seguito delle invasioni saracene del X sec. Il castello nel corso dei secoli XI-XIV appartenne prima al Monastero di S. Paolo e poi alla famiglia Orsini. Nel 1427 erà però già in abbandono, e fu allora che Martino V permise ai Frati del Carmelo di erigere un monastero, presso la chiesa primitiva dedicata a Beatae Mariae Castri Sorbi , che divenne un Santuario di pellegrinaggio dedicato alla Madonna. Il culto mariano, fu probabilmente rinvigorito attraverso la leggenda che narra di un guardiano privo di una mano che usava pascolare i maiali nella Valle del Sorbo. Un giorno, cercando una delle scrofe che si era allontanata, la ritrovò presso un albero di sorbo, dove gli apparve la Madonna. La Vergine, facendo ricrescere la mano al giovane, gli disse: “vai e convinci i tuoi paesani a costruire un santuario su questo colle. Chi verrà qui in processione avrà la mia grazia. Se non ti credono mostra loro la tua mano”.
Il Santuario, è costituito dal monastero con rifacimenti sino al XVIII sec., e dalla chiesa risalente al XV sec. Al 1682 risalgono due altari su progetto di Carlo Fontana. Di pregio è la tavola della Madonna con il bambino (XI-XIII sec.), oggi conservata nel Museo Parrocchiale di Campagnano.
Il monumento è inserito in un’ambiente di particolare rilevanza dal punto di vista naturalistico: il Santuario della Madonna del Sorbo.
l parco regionale di Veio è un’area naturale protetta che si trova nella provincia di Roma ed il suo territorio forma un triangolo delimitato dalla via Flaminia ad est, la via Cassia ad ovest e la provinciale Campagnanese a nord. Il territorio interessa il cosiddetto Agro Veientano, dominato dalla città etrusca di Veio e caratterizzato da interessanti elementi storici, naturalistici e paesaggistici.