Mese: ottobre 2015
Lanzarote ….seguendo Cesar Manrique (Antonella Giroldini)
Nato il 24 aprile 1919 Cesar Manrique crebbe in relativa tranquillità vicino al mare, ad Arrecife . Dopo un breve periodo come volontario con le forze di Franco durante la Guerra Civile del 1936- 39 , nel 1945 si iscrisse all’Accademia de Bellas Artes de San Fernando, sebbene avesse già tenuto la prima mostra personale ben cinque anni prima nella sua città natale Arrecife.
Influenzato da Picasso e da Matisse, Manrique , Manrique tenne la sua prima importante mostra di opere astratte nel 1954. Negli successivi, le sue opere fecero il giro di quasi tutta l’Europa; nel 1964 venne invitato da uno dei suoi ammiratori, Nelson Rockfeller , negli USA dove i suoi lavori furono esposti al Museo Guggenheim di New York, Manrique però non dimenticò mai la sua terra natia e vi ritornò nel 1968, dopo i suoi successi riportati in America, portando con sé nuove idee per migliorare quella che considerava la bellezza più incomparabile di Lanzarote.
Cominciò con una campagna per preservare tradizionali metodi costruttivi del luogo e un’altra per contrastare la diffusione dei cartelloni pubblicitari. Artista eclettico, Manrique applicò in seguito la sua fantasia e il suo intuito a una cinquantina di progetti. Tutta Lanzarote divenne la sua tela. Nel complesso realizzò sette grandi progetti sull’isola e parecchi in altre località dell’arcipelago e oltre. Molti altri progetti erano ancora in corso di realizzazione all’epoca della sua morte.
Su più grande scala, è stato soprattutto il fervido e costante sostegno di Manrique in favore della conservazione dell’architettura tradizionale e della protezione dell’ambiente naturale a spingere il governo ad approvare le leggi che limitano e regolamentano lo sviluppo urbanistico.
Una delle preoccupazioni fondamentali che ha guidato il mio lavoro artistico è stata quella di cercare di conseguire l’integrazione armonica dei concetti e delle forme della pittura, della scultura e degli spazi nella natura. Penso che questa via di integrazione della maggior quantità possibile di elementi artistici – colore, tessitura, dimensioni, ambienti, proporzione … – può servire a raggiungere un maggior valore estetico ed una maggiore qualità di vita. E’ necessario creare e realizzare in libertà, rompere con le formule ed estendere il concetto dell’arte alla vita di ogni giorno dell’uomo, programmando spazi non ostili secondo il modello di integrazione arte / natura .
E’ impossibile immaginarsi l’isola come è oggi senza Cesar Manrique. La sua influenza e la sua influenza e la sua opera hanno dato un’impronta decisiva all’aspetto esterno dell’isola. L’opera di Cesar Manrique è piena di vitalità, colori e luce , non vi è niente di scuro. Né nelle sue pitture ne nelle sue sculture e nelle sue opere architettoniche di cui parleremo in questa sede: sette monumenti a Lanzarote. La sua architettura legata al paesaggio , è contemporaneamente affermazione della vita, generosa e di grande modestia. Creò con forza estetica e gusto sicuro luoghi di calma , di riflessione, anche di meditazione , messaggeri di allegria e di silenzio. I luoghi da lui configurati sono sempre luoghi umani. Si diede premura di scoprire la bellezza e di renderla visibile a tutti, senza però farla divenire fine a sé stessa.
Cercate di visitare il maggior numero possibile dei seguenti luoghi, e non preoccupatevi se siete sprovvisti di un mezzo di trasporto perché potete sempre partecipare a un viaggio organizzato. Tanto per cominciare c’è la più conosciuta delle famose sculture di Manrique, il Monumento al Campesino, dedicato al duro lavoro dei contadini. Poi c’è la casa dell’artista : poche altre persone avrebbero scelto di costruirla in una colata lavica nei pressi di Tahiche, in quella che oggi diventata la Fundacion Cesar Manrique. Altro luogo straordinario è il Jardin de Cactus, con la sua miriade di cactus spinosi a nord di Guatiza, come d’altronde la grotta di Jameos del Agua, il progetto di Manrique che è probabilmente il capolavoro.
Non perdetevi poi la Cueva de los Verdes, un’opera d’arte naturale, e neppure il panorama mozzafiato che si gode dal Mirador del Rio: scoprite inoltre la straordinaria forza della natura visitando le Montanas del Fuego dalla bellezza straordinaria e non perdetevi la visita più tranquilla e figurativa al Museo de Arte Contemporaneo, un altro degli splendidi progetti di Manrique, attualmente ospitato in un castello di Arrecife.
JAMEOS DEL AGUA : Al nord di Lanzarote, ai piedi del vulcano Monte Corona, la cui ultima eruzione avvenne 3000 anni orsono, inizia uno dei sistemi di caverne e gallerie più interessanti al mondo. Questo sistema tortuoso di 6 km conduce fino al mare , e porta alla Roque del Este, cima del vulcano sorto dal fondo del mare , passando il suolo del mare ad una profondità di 50 metri. Durante l’eruzione del Monte Corona, anche una corrente di lava scorse verso la costa orientale, estendendole verso il mare. Sotto la superficie solidificata rapidamente della pietra liquida si formò una catena di bolle vulcaniche, caverne e gallerie, Di questa catena fanno parte la Cueva de los Verdes e Los Jameos del Agua, situati a 250 metri di distanza della costa nordorientale. La parola Jameo significa cavità, conca, bolla vulcanica scoppiata. Il jameo si forma in seguito alla precipitazione del tetto del tunnel, cosa che succede normalmente quando quest’ultima oltrepassa i 20 metri di larghezza o quando i gas accumulatisi producono un’esplosione. Un tale jameo rivela la presenza di gallerie vulcaniche e più jameos rivelando il percorso di tali gallerie vulcaniche. Jameo del Agua fu la prima attrazione architettonica progettata da Cesar Manrique nel 1968.
L’entrata della prima bolla vulcanica, al Jameo Chico, è costruita da un vecchio ramo di legno. Scendendo dal ristorante, una vecchia conca, impressiona la flora tropicale collocata artisticamente e l’unione della natura e del disegno, il tutto accompagnato da musica soave e sferica. Jesus Soto e Luis Morale, i due costruttori realizzarono le idee di Cesar Manrique.
Continuando a scendere si arriva ad un tunnel enorme che sembra una navata di chiesa di 21 metri di larghezza e 62 metri di lunghezza. Qui si trova un lago di acqua salata il cui fondo è al di sotto del livello del mare. Il mare può penetrarvi grazie alla permeabilità delle formazioni basaltiche e alla forza di compensazione della passione idrostatica. Il lago non è molto profondo. Il suo livello sale e scende in corrispondenza dell’alternarsi delle maree. Attraverso un buco nel tetto della caverna, sorto sicuramente a causa di una esplosione di gas, penetrano dei raggi solari che illuminano il lago scuro in colori turchesi, qualche volta blu- nero e blu- acciaio, qualche volta verde metallico.
L’entrata di luce attraverso le due bolle vulcaniche alla fine del tunnel e attraverso il buco del tetto permette lo sviluppo di alghe. Alcune specie di animali rimangono qui per qualche tempo. Questo vale anche per piccoli granchi bianchi e ciechi, sensibili ai rumori alla luce che sono divenuti il simbolo di questo luogo. Vivono sul fondo del lago, sono crostacei lunghi 3 cm e dotati di 10 estremità la cui costituzione è adefguata ai mari profondi. Fino ad oggi non è stato possibile chiarire l’esistenza di questi granchi a Los Jameos.
Salendo per una scala a prossima bolla vulcanica, il Jameo Grande, lungo 100 metri e largo trenta, si arriva ad un giardino incantato, con un’ampia piscina. Sono stati costruiti due bar nelle nicchie della roccia e le piste da ballo testimoniano il fatto che Los Jameos del Agua viene utilizzato anche come club notturno e discoteca.
Alla fine del Jameos Grande, la parte esposta verso il Monte Corona, si apre una sala di concerti in pendenza, con un’architettura ed un’ acustica ammirabili, nella quale vengono dati concerti e rappresentazioni di balletto.
Vale la pena visitare una rappresentazione in questa sala naturale di concerti, in cui hanno spazio 600 spettacolari.
Ai piedi di questa caverna si trova un grande palcoscenico che si estende fino all’ultima bolla vulcanica resa accessibile al pubblico, il Jameo de la Cazuela, alla cui fine fuoriesce acqua salata dalla roccia come una sorgente di montagna.
Salendo la scala a zigzag – una seconda scala proviene dal Jameo Grande – si accede ad una specie di cammino di ronda che porta lungo i margini della caverna e attraversa una serie di fabbricati piatti in cui è stato collocato un museo di vulcanologia. Campioni di pietre, fotografie e videofilm spingono i fenomeni vulcanici. Anche nella sala principale del museo Cesar Manrique ha dato un altro esempio della sua arte: un rilievo astratto su parete, composto di resti del relitto di una vecchia imbarcazione da pesca che può essere interpretata senz’altro come rappresentazione di una nuova barca da pesca.
MONUMENTO AL CAMPESINO:
Il Monumento Fecundidad al Campesino Lanzaroteno ( fecondità del contadino di Lanzarote) si trova tra San Bartolomè e Mozaga al centro geografico dell’isola. Questa scultura è dedicata agli sforzi indimenticati dei contadini di Lanzarote, i quali, lavorando in maniera dura ed ingegnosa, hanno creato un paesaggio unico. Si considerino l’agricoltura secca, i campi coperti di nero o la zona vinicola di La Geria. Il monumento alto 15 metri è stato progettato da Cesar Manrique e realizzato da Jesus Soto nel 1968. Fu inizialmente saldato e successivamente pitturato di bianco, usando vecchi relitti di imbarcazioni da pesca con cutter. Rappresenta un contadino con il suo bestiame. Accanto ad esso si trova la casa del contadino , un’aia rinnovata ed amplificata idealmente nello stile tipico, con la quale Cesar Manrique ha voluto fare un monumento all’architettura contadina, che aveva scoperto per sé e che era divenuta la base delle sue proprie attività architettoniche. In questa fattoria si trovano botteghe di artigianato: una di ceramica, una di ricami ad una di tessitura. un museo espone utensili, suppellettili domestiche, apparecchi agricoli ed una completa cucina antica. Nell’ambito della progettazione della Casa – Museo del Campesino, Cesar Manrique attribuì grande importanza al fatto che essa rispecchiasse in modo fedele la vita svolta a Lanzarote. Questo anche nel ristorante in cui può essere assaggiata la cucina tradizionale , basata sui prodotti e sugli usi gastronomici degli abitanti di Lanzarote.
RESTAURANTE EL DIABLO:
Il governo di Lanzarote si dichiarò d’accordo con la proposta di Cesar Manrique di proteggere il selvaggio paesaggio vulcanico di Timanfaya e riuscì ad imporre questo proposito a Madrid.
Nel mese di agosto del 1974 la zona fu dichiarata Parco Nazionale tramite decreto. Già nel 1970 Manrique fece costruire il ristorante El Diablo sul Islote del Hilario, cioè nel punto in cui il sottosuolo raggiunge le temperature più evolute. A dieci centimetri di profondità di temperatura raggiunge già i 140° C, a si metri più in fondo i 400° C. E per evitare dubbi, vengono presentate agli spettatori dimostrazioni convincenti. Gli impiegati al parco collocano una ginestra in buchi tra le rocce tenendola con un lungo forcone da fieno finché prende fuoco. Nella terra penetrano gallerie di ferronelle quali viene introdotta acqua che si trasforma immediatamente in un geyser di vapore. Nessuno è in grado di spiegare esattamente questo fenomeno . Alcuni vulcanologi suppongono che durante le eruzioni avvenute dal 1730 al 1736, masse di magma incandescente si sono depositate negli strati più alti del vulcano producendo questo calore di superficie anche se si raffreddano lentamente. A causa delle elevate temperature della terra, per la costruzione fu possibile utilizzare solamente la pietra, metallo e cristallo. Dalle pietre speciali isolano il pavimento. La cucina serba una sorpresa. Essa riceve il fuoco, almeno in parte, dal vulcano. Un camino comprende un buco profondo almeno 6 metri, dal quale fuoriesce il calore. In cime a questo buco si trova una griglia di cottura vi è una temperatura di 300°C .
L a sala da pranzo, una costruzione circolare completamente vetrata , offre una vista meravigliosa del selvaggio paesaggio vulcanico.
Questo paesaggio silenzioso, affascinante, mosso e commosso, è integrato nell’interno. Al centro si trova un cortile interno, anch’esso vetrato, nel quale si trova un tronco di un albero di fichi, e sulla cenere del vulcano si trova lo scheletro di un dromedario. In questo modo viene simboleggiato il destino di Hilario. Secondo la leggenda, l’eremita Hilario visse qui all’Islote per 50 anni. Il suo unico compagno fu un dromedario. Si dice che Hilario piantò un fico che non diede mai frutti, dato che i fiori non potevano alimentarsi delle fiamme. L’edificio del ristorante nel complesso, ha un aspetto utopico, come una stazione spaziale. Sembra che sia sorto dalla terra, una specie di casa abbassabile del diavolo. Il diavolo diventa il simbolo del Parco Nazionale. In tutte le strade di accesso si trovano, come segnali, diavoli disegnati da Manrique e da esso febbricitanti con il legno di barche demolite.
Il ristorante El Diablo è punto di partenza e di arrivo della Ruta de los Volcanes, un paesaggio vulcanico adeguato abilmente alla strada che conduce a tutti i punti vulcanici di interesse e sulla quale può circolare un autobus appartenente al parco. Durante il viaggio in autobus viene spiegata la storia citando Don Andres Lorenzo Curbelo, il sacerdote di Yaiza, che fu testimone delle eruzioni: il primo giorno di dicembre dell’anno 1730, tra le nove e le dieci di sera, si aprì di colpo la terra. Vicino a Timanfaya si sollevò una montagna gigantesca dal grembo della terra. Le fiamme si alzarono e arsero ininterrottamente per 19 giorni. Pochi giorni dopo si aprì una nuova voragini e da essi furiosi fiumi di lava si getteranno su Timanfaya, Rodeo ed una parte della Mancha Blanca. Avanzando inizialmente a mulinelli ed alla velocità dell’acqua, poi più densa e pesante come il miele. Con grandi tuoni la roccia salì dalla profondità e cambiò il percorso della lava. Ora non era più diretta verso il nord, ma verso occidente. Raggiunse i paesi Macetas e Santa Catalina radendoli al suolo. Il 18 ottobre si aprirono direttamente al di sopra del paese bruciato di Santa Catalina tre nuove voragini da cui fuoriuscirono nuvole di fumo che si estesero sull’intera isola. Contenevano cenere; cadevano dappertutto grosse gocce d’acqua. Il buio, la cenere e il fumo fecero fuggire più di una volta gli abitanti di Yaiza e delle zone circostanti. Dieci giorni dopo questa eruzione, nell’intera zona morì tutto il bestiame. Il vapore puzzolente l’aveva soffocato. Il 16 dicembre la lava cambiò improvvisamente direzione, non dirigendosi più verso il mare ma verso sud – ovest, bruciò il comune di Chauapadero e distrusse successivamente la fertile pianura di Uga. Qui si fermò e si raffreddò. Il 25 dicembre la terra tremò violentemente e 3 giorni dopo la lava bruciò il paese Jaretas e distrusse la Cappella di San Giovanni.
MIRADOR DEL RIO: si trova al capo nord dell’isola, a 479 metri d’altezza, regna come un nido d’aquila su Graciosa. La vista verso la Graciosa, Montana Clara e Alegranza è stupenda. Per la ricostruzione di questa antica posizione di artiglieria, Bateria del Rio, non fu responsabile altri che Cesar Mnrique. Comunque trasse l’idea da un progetto utopistico dell’architetto madrileno Fernando Hgueras. Higuaras voleva fare costruire un villaggio nella montagna al di sopra della baia di Famara, un villaggio dotato di ascensori per accedere alla spiaggia con nidi di bungalows nelle pareti nel monte, con strade attraverso gallerie. Date le frequenti mancanze di corrente verificantisi in quel periodo a Lanzarote. Manrique respinse l’idea che non fu mai realizzata. Ma gli servì un ispirazione per il suo progetto del Mirador del Rio. Fece scavare la montagna, costruendo un ristorante nella cavità, piazzò due cupole in questo grande spazio su cui fu gettata terra e crebbe erba. Attraverso una galleria tortuosa. pitturata di bianco, si accede a questa grande sala in cui si trovano due sculture appese alle cupole. Manrique le saldò di propria mano sul posto, usando lamiera vecchia, profili e armature. Le plastiche sembrano muoversi come oggetti mobili. Non furono concepite solamente a scopi decorativi, ma anche come protezione acustica, cosa che però non riuscì completamente. Verso il nord vi è una grande finestra panoramica. Questa finestra sembra una finestra verso il cosmo.
CASTILLO SAN JOSE’: Già nel 1968, subito dopo il suo ritorno sull’isola, Cesar Manrique suggerì di fare rinnovare il Castillo de San Josè e di farvi collocare un museo di arte contemporanea. La fortezza fu costruita negli anni 1776 al 1779, non tanto per proteggere militarmente il porto di Naos, situato davanti ad Arrecife, dato che non vi era più nulla da difendere. Fu piuttosto il Re Carlos III a dare aiuto agli affamati con la costruzione di questo castello . Dal 1703 al 1779 gli abitanti di Lanzarote soffrirono ininterrottamente di grande indigenza. Inoltre si aggiunsero le enormi eruzioni vulcaniche che distrussero tra il 1730 ed il 1736 la fertile terra. La corona spagnola , con la Fortaleza del Hambre ( fortezza della fame) cercò di procurare lavoro e facilitare la sopravvivenza. Fino al 1980 la fortezza fu usata come polveriera, poi rimase vuota. Fu Cesar Manrique a rivedere un senso nell’edificio, voleva conservarlo come documento storico. E Manrique è capace di avvalersi in modo maestrale di cose già esistenti, modificandole leggermente . Già la scala rappresenta un’opera d’arte; una volta riportava alla cisterna e oggi rappresenta la discesa verso il ristorante costruito successivamente. La scala di pietra che inizia in un vano curvo, continua verso il basso a forma di punto interrogativo. Il vano stesso, inizialmente aperto e alto, diventa un tunnel bianco illuminato dal basso, come la scala. Il ristorante che con il suo fronte di vetro arcato libera la vista verso il porto di Arrecife, fu progettato spontaneamente da Manrique, senza piano disegnato, approntando il piano spargendo semplicemente della calce in terra. Soprattutto di notte è una bella esperienza cenare qui, con una vista stupenda e una musica piacevole. Questa musica si può sentire addirittura nelle toilettes.
JARDIN DE CACTUS: Manrique dedicò un monumento anche al cactus . Nei pressi di Guatiza e di Mala, al nord dell’isola, sorprendono enormi campi di cactus che servono alla coltivazione della cocciniglia. Davanti al giardino si trova una riproduzione di cactus in metallo alta otto metri, strutturata liberamente secondo il cactus pachycereus grandis . Verso il 1850 i contadini avevano scavato questa fossa manualmente, le pietre vulcaniche furono trasportate mediante carri da asino sui loro campi ricoprendone il suolo per proteggerlo dal prosciugamento. Non risultò possibile spianare i monoliti rimasti, le pietre erano troppo dure dato che non esistevano macchine. Oggi crescono qui 1420 tipi, 9700 piante in tutto. La maggior parte dei tipi di cactus provengono dall’America, alcuni dal Madagascar e dalle isole canarie.
FUNDACION CESAR MANRIQUE: Nel suo diario inedito di New York Cesar Manrique scrisse nel 1966 della sua nostalgia di Lanzarote. Allora non era ancora sicuro dove installare il suo studio definitivo. Il suo desiderio di vivere insieme alla lava lo realizzò due anni dopo nella propria casa, che costruì a Taro de Tahiche, dove visse fino al 1987 e che regalò ai suoi concittadini nel 1992 sotto forma di fondazione. Nello stile cubico di Lanzarote costruì su cinque bolle vulcaniche un capolavoro architettonico su una corrente di lava blu nera. Le bolle vulcaniche, profonde come la cantina, collegate con gallerie agibili, sono divenute templi di ispirazione, ciascuno di colore diverso. Questo palazzo trasmette in modo suggestivo l’idea di Manrique di un’architettura integrata nel paesaggio. Dalla bolla vulcanica rossa cresce un albero di fichi già radicato precedentemente direttamente nel salotto soprastante, oggi sala di esposizione, in cui viene mostrata la raccolta privata di Manrique. E’ esposta l’opera di Manrique: pitture, disegni, schizzi, sculture, ceramiche, fotografie e progetti di opere realizzate e non realizzate. Per Manrique, che al momento dell’apertura aveva 73 anni, si realizzò un sogno. Considerava la fondazione come premio del lavoro da lui realizzato nel corso della sua vita:” la fondazione che lascio alla popolazione di Lanzarote rappresenta la mia eredità personale, e spero che contribuisca a promuovere l’arte, a mantenere viva l’unità tra l’architettura, la natura e l’ambiente e a conservare i valori della natura e della cultura della nostra isola”
MUSEO EGIZIO DI TORINO – IL TEMPIO DI ELLESIJA (Antonella Giroldini)
Arenaria
Dimensioni: facciata 8,50 x 4,60 m ; vestibolo 5,5 x 3,5 m; cella 2 x3 m
Nuovo Regno, XVIII dinastia, regno di Thutmosi III.
Provenienza: Ellesija, Nubia. Dono della Repubblica Araba d’Egitto, 1966.
Questo piccolo tempio è stato ricavato nell’arenaria del deserto, in una località situata circa a 200 km a sud di Assuan, nella Nubia, era destinato agli dei locali Horus di Maiam e Sater di Assuan, le cui immagini, modellate in altorilievo, affiancano quella di re Thumosi III nella profonda nicchia dedicata al culto.
Thumosi III, che aveva forti ambizioni espansionistiche, fece costruire quella cappella negli anni 51° e 52° del proprio regno , provvedendo anche ai sacerdoti necessari al funzionamento del tempio e al culto. L’edificio sacro era inteso come un gesto di pacificazione verso i nubiani perché venerava le divinità locali e al tempo stesso le identificava con quelle egizie. Nelle scene in altorilievo decorano l’interno il re compare sempre rivolto verso il santuario nell’atto di presentare offerte agli dei, rivolti anche verso l’esterno. Gli dei ricambiano concedendo la vita, l’autorità, le regole, etc.
Quando più tardi prese il sopravvento l’eresia di Amarna, che abolì il pantheon tradizionale, i funzionari del re Akhenaton profanarono le effigi di Amon . Le immagini di Amon furono poi restaurate durante il regno di Ramesse II, sotto il vicerè Setau. Dal VI secolo d.C. in poi il tempio fu usato come luogo di culto cristiano: lo attestano i pentacoli e le croci scolpiti sulle scene più antiche. . Nel 1966 il tempio fu donato all’Italia in segno di gratitudine da parte della Repubblica Araba d’Egitto per l’aiuto ricevuto durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani che, con la costruzione della diga di Assuan, rischiavano di rimanere sommersi dalle acque del lago Nasser.
Marrakech (Antonella Giroldini)
Palazzo Colonna (Antonella Giroldini)
Siamo invitati ad un convegno a Giugno per lavoro e scopriamo con enorme piacere che l’evento si svolge in uno dei più grandi e antichi palazzi privati di Roma – Palazzo Colonna.
Appena entriamo in sala rimaniamo affascinati dalla Sua bellezza .
La sua costruzione inizia nel XIV secolo per volere della famiglia Colonna, che vi risiede stabilmente da otto secoli.
La famiglia Colonna risale al XII secolo e proviene dal paese di Colonna, nei pressi di Roma, da cui prende il nome.
L’edificazione delle varie ali di Palazzo Colonna si è protratta per cinque secoli e ciò ha comportato la sovrapposizione di diversi stili architettonici, esterni ed interni, che lo caratterizzano e rispecchiano le diverse epoche di appartenenza.
Dal 1300 al 1500 si presentava come una vera e propria fortezza di famiglia. Oddone Colonna, eletto papa l’ 11 novembre 1417 e assunto il nome di Martino V, destina il Palazzo a Sede Pontificia e vi abita dal 1420 al 1431, anno della morte.
Nelle Sale austere di Palazzo Colonna, Papa Martino V pianifica e realizza in dieci anni un grande piano di rinascita culturale, urbana e amministrativa della città di Roma, che giaceva in condizioni rovinose dopo il tormentato periodo della cattività avignonese e dello scisma d’ occidente.
Nel 1527, durante il sacco di Roma ad opera delle truppe dell’ Imperatore CarloV, Palazzo Colonna è tra i pochi edifici che non vengono dati alle fiamme grazie ai buoni rapporti della famiglia con l’ Impero, ma offre un rifugio sicuro ad oltre tremila cittadini romani.
Nel corso del 1600, il Palazzo assume la veste di un grande palazzo barocco per volere di tre generazioni di famiglia, i cui principali esponenti sono Filippo I, il Cardinale Girolamo I e Lorenzo Onofrio, che si affidano ad architetti e artisti di grande competenza e notorietà.
Prestano infatti la loro consulenza Gian Lorenzo Bernini, Antonio del Grande, Carlo Fontana, Paolo Schor e molti altri.
Di quest’ epoca è anche la costruzione della splendida e maestosa Galleria Colonna, che si affaccia per 76 metri su Via IV novembre; autentico gioiello del barocco romano, è oggi visitabile al pubblico, con gli appartamenti più rappresentativi e di maggior pregio artistico del Palazzo, che ospitano le Collezioni Artistiche di famiglia, notificate e vincolate dal fidecommisso del 1800, ove si possono ammirare capolavori di eccellenza assoluta ad opera dei maggiori artisti italiani e stranieri tra il XV e il XVI secolo.
Tra i tanti, Pinturicchio, Cosmè Tura, Carracci, Guido Reni, Tintoretto, Salvator Rosa, Bronzino, Guercino, Veronese, Vanvitelli e molti altri ancora.
La Galleria Colonna è aperta al pubblico tutti i sabati dalle 9,00 alle 13,15 con ingresso da Via della Pilotta, 17.
Siamo fortunati e a fine lavori ci consentono di fare una mini visita guidata per le sue stanze.
Vediamo quadri ….meravigliosi
e degli splendidi arazzi
Visite private su prenotazione alla Galleria e ai predetti Appartamenti privati sono comunque sempre disponibili su prenotazione sette giorni su sette, compresi i festivi,telefonando al +39 06 6784350 o scrivendo a info@galleriacolonna.it.
Presso il book shop della Galleria Colonna in via della Pilotta 17 il sabato mattina, o presso gli uffici della Galleria Colonna, sono disponibili una serie di pubblicazioni sulla famiglia Colonna, Palazzo Colonna e le sue Collezioni Artistiche..
un viaggiatore …… (Antonella Girldini )
Come ho letto da qualche parte:
“…Sempre un po’ nomade, un viaggiatore si sente facilmente uno straniero che non comprende bene la lingua, ma nemmeno i gesti, i sentimenti, gli dei della gente, così come non distingue i diversi canti degli uccelli o i rumori del vento e i mutamenti metereologici che si annunciano..”
LANZAROTE, ISOLA DI LAVA E VINO……. (Antonella Giroldini)
Lanzarote è un isola intrigante dalla geologia straordinari. Disseminata di ben 300 coni vulcanici offre splendide spiagge, affascinanti luoghi di interesse e numerosi alberghi e ristoranti. Il suo territorio è prevalentemente vulcanico, di una bellezza strana e profonda, con rare valli verdeggianti piene di palme intercalate ad aspre distese di lava nera con aspetto surreale. l’isola è inoltre piacevolmente priva di sfavillanti attrazioni turistiche e conserva un’atmosfera unica e incontaminata.
Ma sotto altri aspetti Lanzarote ricorda un enorme, sebbene raffinato, parco tematico. L’atteggiamento dell’isola verso il turismo è stato in gran parte ispirato dall’artista Cesar Manrique, che ha compreso il potenziale commerciale dello splendido paesaggio che ha impresso il suo senso estetico a molte delle attrazioni locali. L’attento rispetto dello stile architettonico tradizionale, con le case abbellite da porte e imposte dipinte di verde , è largamente dovuto al controllo vigile di Manrique e dei suoi successori. Purtroppo in un paio di località turistiche della costa gli interessi economici e uno sviluppo urbanistico indiscriminato hanno prevalso sugli ideali estetici dell’artista, un eccezione è rappresentata dal lussuoso nuovo porto di Playa Blanca , che pur non essendo nello stile tradizionale si integra armoniosamente con l’architettura locale.
L’UNESCO nel 1993 ha dichiarato l’intera isola Riserva della Biosfera.
I vigneti che crescono sul suolo vulcanico di Lanzarote sono molto diversi da quelli verdi e lussureggianti cui siamo abituati, ma determinati abitanti dell’isola sono riusciti a trarre vantaggio dalla terra nera e oggi il vino locale è decisamente qualcosa di cui andare fieri.
Potete iniziare l’itinerario nei pressi di San Bartolomè, nell’eccellente ristorante di cucina locale tradizionale del Museo del Campesino. Nei pressi, Bodega Mozaga è un’azienda vinicola aperta fin dal 1880 che ha vinto numerosi premi per la deliziosa malvasia dall’aroma fruttato. Un’altra eccellente azienda vinicola è la Bodega Tinache con 20 ettari di vigneti lungo la strada per Timanfaya; assaggiate il Malmsey e il Moscatel, entrambi secchi. La piccola Bodega Vega de Yuco ha i suoi vigneti riparati sul versante di una collina vicino alla cittadina di Tias. Anche qui, i vini migliori sono quelli bianchi , soprattutto la malvasia seca o semi dulce. Fondata nel 2001, la Bodega La Vegueta è un azienda giovane ma legata alla tradizione vinicola locale e ha già vinto molti premi prestigiosi. Non mancate di infilare nel bagaglio a mano una bottiglia del liquore secco Malmsey.
La lava è il simbolo di Lanzarote più che di tutte le altre isole. Non c’è quindi da stupirsi se, dopo le meraviglie lunari di Parque Nacional de Timanfaya, i visitatori si dirigano in massa qui, nel posto in cui un’antica colata di lava si gettò nell’oceano. La grande Cueva de Los Verdes e le cavità del Jameos del Agua, convertite da Cesar Manrique in una specie di bar – rifugio in stile New Age distano 1 km una dall’altra e si raggiungono agevolmente a piedi.
La cueva de Los Verdes è una cavità aperta di un km di lunghezza ed è la parte più spettacolare di un tubo lavico lungo quasi 8 km. Mentre, circa 5000 anni fa, la lava scorreva verso il mare ( oggi più di 6 km del canale si trovano sopra il livello del mare, mentre gli altri 1,5 km scorrono sott’acqua), gli strati superiori si raffreddarono formando una specie di tetto, sotto il quale il magma liquido continuò a scorrere finché l’eruzione si esaurì.
Verrete guidati attraverso due camere, una sotto l’altra. Il soffitto è quasi completamente coperto da quelle da sembrano mini stalattiti, ma l’acqua non penetra nella caverna. Queste strane estrusioni appuntite vennero invece create da bolle d’aria e lava, che venivano spinte verso il soffitto dai gas rilasciati dal magma bollente nella sua corsa verso il mare; raggiunti il soffitto e l’aria, si consideravano e raffreddavano prima di ricadere nel flusso di lava
La prima caverna del Jameos del Agua somiglia alla navata di una grande basilica marina. La lava fusa passò di qui nel suo percorso verso il mare, ma in questo caso l’oceano si infiltrò un po’ all’interno, formando uno spettacolare lago azzurro nel cuore del Jameos. Manrique ebbe l’idea geniale di installare alcuni bar e un ristorante attorno al lago, facendo aggiungere anche una piscina artificiale, una sala da concerti con 600 posti a sedere e, con intenzioni didattiche, la Casa de los Volcanos.
Parque Nacional de Timanfaya: l’eruzione che iniziò il 1 settembre 1730 e sconvolse l’estremità meridionale dell’isola è uno dei più grandi cataclismi vulcanici della storia conosciuta. Ben 48 milioni di metri cubici di lava fuoriuscivano ogni giorno dai crateri, mentre raffiche di roccia fusa venivano sparate verso il cielo e ricadevano sulle campagne e nell’oceano. Quando finalmente dopo 6 lunghi anni la furia dell’eruzione si placò, più di 200 kmq di territorio erano stati devastati, compresi 20 paesi e 30 villaggi.
Le Montanas del Fuego sono situate al centro di questo misterioso parco nazionale che si estende per 51 kmq e il loro nome non poteva essere più appropriato . Una volta raggiunto il punto panoramico progettato da Manrique e il Restaurante del Diablo , situati un rilievo chiamato Islote de Hilario , provate a scavare un pochino tra le pietre lì intorno guardate per quanto tempo riuscite a tenerle in mano. A una profondità di pochi centimetri la temperatura è già di 100° C e a 10 m arriva a 600° C. La causa di questo fenomeno è una camera di magma bollente situata a 4 km sotto la superficie.
Alcuni deboli esemplari di vegetazione, fra cui 200 specie di licheni, cercano di riprendere possesso del suolo in punti, ma per il resto del panorama è piuttosto desolato e caratterizzato da forme fantastiche in tante gradazioni di nero, grigio e rosso. Un bel terreno dai riflessi ramati scende dai coni vulcanici e si arresta contro contorti rialzi di lava sofisticata è decisamente un posto in cui non bisogna dimenticare la macchina fotografica!
Il Restaurant del Diablo è un divertimento di per se – qualunque tipo di carne ordiniate, la potete vedere sfrigolare sul grandissimo barbecue naturale alimentato dal vulcano sul retro.
Nel Parque Nacional de Tmanfaya è possibile fare escursioni a piedi.
MUSEO EGIZIO TORINO – RILIEVI DELLA TOMBA DI ITI (Antonella Giroldini)
Calcare dipinto
Primo Periodo Intermedio, VII -XI dinastia
Provenienza: Gebelein, scavi Schiapparelli, 1911
Durante lo scavo della tomba di Iti vennero alla luce anche due stele rettangolari di calcare, una delle quali di evidente carattere funerario: le figure del defunto Iti e della moglie Neferu, incise in un bassorilievo spiccano sul lato sinistro del blocco di pietra, quello “divino”. Il fratello di Iti è a destra, di fronte alla coppia, in piedi e con le braccia protese; è probabile che stia officiando i riti funebri.
Due cani e la compagnia accovacciati ai piedi delle figure fanno da collegamento tra i personaggi. Alle spalle del fratello di Iti c’è un tavolo basso con vasi, teste di anatre, di antilopi e di una mucca. Per sottolineare che si tratta di offerte intervengono i piccoli portatori muniti di pali per il trasporto e recanti offerte di cibi, schierati più in alto, su una linea secondaria; li seguono un uomo e una donna, forse i figli dei defunti.
Sul bordo del blocco di pietra è riportata una preghiera che si conclude con una esortazione rivolta ai vivi, a fornire provviste per l’Aldilà. Dal punto di vista stilistico è evidente che i contorni sono tracciati in modo goffo e discontinuo: un esempio è il profilo di Neferu, con il braccio e la mano che con gesto casuale si sovrappongono alla vita del marito. La base delle natiche della donna è segnata da un angolo, mentre fra le gambe l’orlo della veste rimane privo di definizione; i gonnellini indossati dai personaggi maschili presentano striature diseguali. L’intera scena assume un carattere picassiano, che regge male il confronto con le sculture dell’Antico Regno.
Un altro blocco proveniente dalla stessa tomba, descrive, in bassorilievo, l’incontro fra due coppie di uomini armati con archi, due dei quali hanno la pelle scura. Non si capisce bene se uno di costoro sia lo stesso Iti; comunque, la differenza di colore della pelle fa pensare che appartengono a popolazioni diverse, e possano essere dei mercenari : quelli con la pelle più scura potrebbero essere i famosi arcieri della Nubia. La presenza di questa scultura nella sua tomba permette di ipotizzare che Iti compisse regolari spedizioni militari con truppe mercenarie.
legami estremi
…la sua vita è racchiusa in due valigie: in una tiene pochi vestiti e qualche oggetto personale, nell’altra quello che gli occorre per il suo lavoro: centinaia e centinaiadi metri di cavi d’acciaio. grazie ai quali ogni giorno quasi due milioni di persone nel mondo possono passare da una sponda all’altra di un fiume, per andare verso ospedal, scuole e campida coltivare. occhi curiosi, voce sveglia e serena, idee chiare e e contagiuose: ecco l’identikit di Toni Ruttimann, nato nel 1967 a Pontresina, nel Canton Grigioni. Lo chiamabi il Suizo, lo svizzero, gli abitanti di decine di villaggi nell’America Latina. per loro Toni è l’uomo che costruisce i ponti. Un eroe invisibile, solitario e silenzioso, senza patria e senza stipendio, che in meno di 25 anni ne ha fatti nascere più di 650, alcuni anche per 200 metri, utilizzando i cavi dismessi dalle funivie elvetiche….
…..là ho toccato con mano la sofferenza, e ho capito quanto i ponti siano generatori di vita, speranza, opportunità. un ponte può ridare un futuro alle persone e così ho deciso quale sarebbe diventata la mia passione..
…..la mia famiglia è il villaggio che mi ospita, i miei parenti diventano i campesinosche mi offrono un lettoe dividono il loro pasto con me….
….nella mia vita sono sospeso, proprio i ponti che costruiamo…
…quando qualcuno mi chiede chi me lo fa fare, rispondo che non lo so, citando ciò che un khmer ha scritto di nascosto nel cemento armato di un ponte cambogiano : NESSUNO CAPISCE IL MIO CUORE E I MIEI SENTIMENTI; QUESTO PONTE E’ IL LUOGO CHE AMO…
Chagall – love an life a Roma al Chiostro del Bramante (Antonella Giroldini)
Dal 16 marzo al 26 luglio 2015 Il Chiostro del Bramante ospita una Mostra interamente dedicata a Marc Chagall: uno dei maestri più innovativi del Novecento, nonché l’artista ebreo più apprezzato e ammirato del secolo.
Con oltre 140 opere tra dipinti, disegni e stampe, con una collezione che viene esposta integralmente per la prima volta in Italia, l’esposizione è dedicata in particolare ai lavori grafici dell’artista russo e ripercorre i temi fondamentali della sua vita e della sua produzione.
Dalle immagini della Sua infanzia e della gioventù nella nativa Vitebsk, fino alle illustrazioni per l’autobiografia – la mostra mette in luce il rapporto tra arte e letteratura, e tra linguaggio e contenuto nell’opera di Chagall. I lavori esposti riflettono l’identità poliedrica dell’artista , che allo stesso tempo è l’ebreo di Vitebsk – autore e illustratore delle memorie dell’infanzia nell’autobiografico Ma Vie; il marito che correda di immagini i libri dell’amata sposa Burning Lights, First Encounter e From My Notebooks; l’artista che illustra la Bibbia, volendo rimediare così alla mancanza di una tradizione ebraica nelle arti visive; ma anche l’originale pittore moderno che attraverso l’uso dell’iconografia cristiana piange la sorte toccata nel suo secolo al popolo ebraico. L’opposizione ruota perciò attorno alle esperienze personali di Marc Chagall e ai temi centrali della sua poetica: la cultura ebraica, i cui simboli sono sempre presenti nei suoi quadri; l’influenza delle avanguardie francesi che egli seppe elaborare in maniera originale, la rappresentazione delle figure degli innamorati.
La mostra narra inoltre l’immagine che l’artista voleva trasmettere al mondo della cultura ebraica che influenzò profondamente e in modo indelebile la sua arte, come dimostrano i disegni e le stampe su temi che esercitano sempre un fascino su di lui e che rivelano un’interpretazione straordinariamente “umanista” delle Scritture.