Tenerife…. terra di nascita di Manolo Blahnik…(Antonella Giroldini)

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Il più famoso designer di calzature del mondo, Manolo Blahnik, è nato nel 1942 a Santa Cruz de Tenerife. Figlio di un padre ceco e madre spagnola, ha trascorso l’infanzia in una piantagione di banane: un inizio singolare pe uno stilista divenuto celebre a livello internazionale. Blahnik è sempre stato affascinato dai piedi e dalle scarpe , e quelle calzature che da bambino creava per scimmie e iguane con minuscoli pezzi di alluminio, erano solo una anticipazione puerile di quelle che con piume, strass , fiocchi e naturalmente tacchi vertiginosi avrebbe creato ” da grande”.

Lasciò la piantagione presso cui viveva per studiare a Ginevra, ma ben presto si trasferì a Parigi per poi stabilirsi a Londra, dove lavorò come fotografo di moda e strinse amicizia con numerosi esponenti del jet set locale. Negli anni ’70 Blahnik sognava di realizzare scenografie teatrali, ma quando la direttrice di Vogue America vide i suoi bozzettidi scarpe e lo convinse a lanciarsi in questo settore.

Il resto è storia, e oggi le “Manolo’s, il cui prezzo oscilla tra € 500 e € 2000, sono diventate uno status symbol e fanno mostra di sé ai piedi delle donne più trendy del mondo. Sarah Jessica , fan sfegatata dello stilista, ha affermato che Manolo’s hanno una durata superiore a quella della maggior parte dei matrimoni; Madonna le ha definite meglio del sesso e Linda Evangelista e China Chow hanno addirittura dato il nome a due modelli. Anche se di tanto il designer torna a Tenerife per fare visita alla madre, che vive ancora nella tenuta di famiglia, vi sarà difficile trovare sull’isola le sue creazioni: gli unici due negozi monomarca Manolo Blahnik hanno sede a Londra e New York.

VILLA D’ESTE DI NOTTE (3 luglio – 12 settembre 2015)

Dopo lo straordinario successo della trascorsa edizione, questa estate è tornata “Villa d’Este di notte”, le aperture straordinarie della Villa rinascimentale e del suo giardino nella suggestiva atmosfera creata dall’illuminazione e dagli effetti della luce riflessa sull’acqua. Un ulteriore elemento di fascino per questo sito Unesco, ed una ghiotta occasione per una serata speciale, anche per chi già conosce questo giardino celebre in tutto il mondo.
A partire dal 3 luglio fino al 12 settembre, tutti i venerdì e sabato, Villa d’Este apre i battenti anche la sera, dalle ore 20,30 alle 24,00 (ultimo ingresso alle ore 23,00).
Durante le aperture notturne sarà visitabile anche la mostra “Zeffirelli. L’arte dello spettacolo” nelle sale dell’Appartamento del Cardinale, che espone oltre settanta bozzetti realizzati dal Maestro per alcune delle sue scenografie e una selezione di costumi di scena originali provenienti dai maggiori teatri italiani, come i due splendidi abiti indossati da Maria Callas al Teatro alla Scala di Milano e i costumi di Piero Tosi realizzati per La Traviata dalla Sartoria Tirelli.
Diversi gli eventi che punteggeranno le aperture notturne. Si parte il 3 luglio con il concerto “Lucenti Armonie”, dedicato ad Ennio Morricone ed organizzato dall’Accademia Ergo Cantemus coro ed orchestra di Tivoli: 61 elementi d’orchestra, 30 coristi, 2 soprani solisti, diretti dal Maestro Giuseppe Galli, faranno riecheggiare sul  panoramico scenario del Vialone del giardino, le note delle celebri musiche da film del grande compositore italiano.
Sabato 4 luglio Philippe Daverio sarà protagonista di un conversazione sull’arte (terrazza della Pallacorda), nell’ambito della rassegna “Tivoli incontra”, che quest’anno ha già portato a Villa d’Este personaggi del mondo della cultura come Corrado Augias, Fausto Bertinotti, Dario Argento, Paolo Villaggio, Dacia Maraini.
Sabato 11 luglio concerto del duo Pallante – Forastiere, mentre l’attrice Licia Maglietta presenterà due spettacoli, rispettivamente “Ballata”, sabato 18 luglio, e “Il difficile mestiere di vedova”, sabato 25 luglio.
Il calendario delle iniziative completo è consultabile dal 1 luglio sul sito di Villa d’Este www.villadestetivoli.info

APERTURE STRAORDINARIE:

tutti i venerdì e sabato dal 3 luglio al 12 settembre
dalle 20,30 alle 24,00; (ore 23,00 ultimo ingresso)

COSTO DEL BIGLIETTO:

Intero: 11 euro (Villa + mostra + spettacolo ove previsto)
Ridotto: 7 euro, (dai 14 ai 18 anni)
gratuito: 0-13 anni.

INFORMAZIONI:                          www.villadestetivoli.info
Biglietteria: 0774.332920 info@villadestetivoli.info
Amministrazione: 0774/312070  villadestetivoli@tiscalinet.it

CHAGALL – AUTORITRATTO CON SETTE DITA (Antonella Giroldini)

Marc Chagall era un ebreo e un sognatore errante . Dal piccolo villaggio di Vitebsk se ne andò per il mondo e dal mondo si lasciò ispirare . Dipinse scene fantastiche, illogiche e piene di sfumature, contadini volanti e treni rovesciati, violini sui tetti e panorami caleidoscopici di Parigi.

Nacque, con il nome di Moishe Shagal ( in russo shagal vuol dire ” andare avanti a grandi passi, fare progressi”), il 7 luglio 1887 a Vitebsk, una città russa la cui popolazione era per metà ebrea. L’infanzia do Marc fu felice ma umile. Primo di 9 fratelli, non avrebbe seguito il lavoro del padre in una ditta di aringhe. Pur senza mai mettere in dubbio il suo amore per i genitori, provava un certo imbarazzo per la condizione sociale del padre. Marc, come ammise in seguito, si sentiva molto più in sintonia con sua madre. Dipingeva, scriveva poesie e imparò a suonare il violino.  I genitori, però, non volevano che si dedicasse all’arte, attività che, pensavano, non gli avrebbe permesso di fare una vita dignitosa.

maternità

Fondata più di mille anni fa, e ora parte della Bielorussia, la città di Vitebsk si trova vicino ai confini di Russia e Lettonia. La città, improduttiva, sprofondata nel fango e decadente, appariva magnifica agli occhi di Chagall. Perfino gli animali, i negozi, le sinagoghe e i contadini più anonimi erano altrettante muse per quel bambino dallo straordinario talento artistico, che si sentiva una cosa sola con il piccolo universo della città ” Vitesbsk è stato il terreno che ha nutrito le radici della mia arte” , scrisse Chagall .

io e il mio villaggio

…ho amato Vitesbsk, nella gloria e nella rovina

ho studiato mille immagini, con uno specchio

ho inciso un sogno e ho lottato parecchio

ho conosciuto me stesso, labbra bianche, verde il volto

ho dipinto la serenità delle mucche là attorno.

Se mai ci fu un sognatore quello fu Chagall. Sembrava che sapesse già dagli anni della prima giovinezza di voler diventare un artista. Un suo amico delle elementari lo introdusse al disegno, ma Chagall sorpreso pensò, all’inizio, che un’attività di quel genere andava messa fuori legge! I suoi primi schizzi mostravano con chiarezza a tutti che Chagall possedeva un dono prodigioso. Negli ultimi anni dall’adolescenza studiò pittura per un breve periodo con Yehuda Pen, un artista di Vitebsk. Chagall apprese da Pen assai bene le diverse tecniche dell’arte classica, ma i suoi lavori fortemente modernisti, con l’abbandono delle figure realistiche e della prospettiva, furono una vera rivoluzione per la sensibilità artistica del suo insegnante.

su vitebsk

Il  violinista ritratto in questo quadro è lo zio di Chagall , che era un Chasid, un membro della setta ebraica che comunicava con Dio attraverso un’estasi musicale. Da ragazzo Chagall pensò che suo zio fosse Kishefdik, perché se ne stava spesso seduto a gambe incrociate sul tetto a suonare il suo strumento a corda. L’immagine del violinista sul tetto fu l’ispirazione per il famoso musical di Broadway.

il violinista

A vent’anni   Chagall andò a San Pietroburgo per studiare pittura e in quell’esperienza disse: ” Mi prese una paura terribile. Come avrei fatto a sfamarmi visto che non sapevo fare altro che dipingere?” Scrisse a proposito di quei trascorsi a San Pietroburgo: ” I miei mezzi non mi permettevano neppure di perdere in affitto una stanza; dovevo accontentarmi di angoli di stanze. Non avevo neppure un letto”.  Trovò ispirazione nella città, piena di poeti e in cui si affermava il simbolismo, eppure Chagall dipinse ciò che amava da più tempo e conosceva meglio: il piccolo villaggio dove era cresciuto.

la mia fidanzata

Chagall conobbe Bella Rosenfeld, figlia di un ricco gioielliere, nel 1909 a casa di Teja, un’amica di lei. Chagall, allora, era un povero apprendista presso il pittore e scenografo Leon Bask. Poco dopo il loro incontro, Chagall e Bella si fidanzarono e Marc dipinse, La mia fidanzata con i guanti neri. Nel 1911, all’età di ventitré anni, Chagall si trasferì a Parigi grazie a una borsa di studio . Là conobbe molte persone tra cui lo scrittore Blaise Cendrars. Nonostante la sua immediata e forte attrazione per la città delle luci, Chagall sopportava a stento la distanza che lo tenne lontano da Bella per quasi quattro anni.  Nel 1914 ritorno a Vitebsk e in poco meno di un anno lui e bella si sposarono. Nell’autobiografia, intitolata La mia vita scrisse ” Vestita interamente di bianco o di nero, sembrava fluttuare sulle mie tele, guidando, a lungo, la mia arte. Non finisco mai un dipinto o un’incisione senza il suo consenso”.

Nell’autobiografia, intitolata La mia vita, Chagall scrisse: vestita interamente di bianco o di nero, sembrava fluttuare sulle mie tele, guidandolo, a lungo, la mia arte, Non finisco mai un dipinto o un incisione senza il suo consenso.

Il 1914 e il 1915 furono anni importanti per Chagall. nel 1914 inaugurò la prima mostra personale a Berlino e nel 1915 si sposò. Nel giorno del suo compleanno, poco prima del matrimonio, Bella gli regalò un mazzo di fiori. Qualche tempo dopo scrisse: ” Insieme ci siamo librati senza sforzo in aria.. dalla finestra…abbiamo fluttuato… sui prati pieni di fiori…. Infuriava  la Prima Guerra Mondiale e Chagall, che non riuscì ad evitare la chiamata militare , fu assegnato a compiti amministrativi presso l’Ufficio dell’economia di guerra a San Pietroburgo. Il nuovo lavoro, che egli peraltro detestava, gli consentì di incontrare molti poeti e scrittor, tra i quali anche Vladimir Majakovskij.

compleanno

Bella fu il grande amore della vita di Chagall. La ritraeva continuamente insieme alla figlia Ida, nata nel 1916, come nel quadro Doppio ritratto col bicchiere di vino. In questo dipinto la moglie lo tiene sulle spalle mentre il suo angelo Ida volteggia sulla sua testa. Quest’opera ritrae la famiglia a Vitebsk dove scorre il fiume Dvina, raffigurato ai piedi dei personaggi.

bicchiere di vino

Nei primi anni 20 , poco dopo la fine della Prima guerra mondiale, la famiglia Chagall partì per Mosca, dove a Marc vennero commissionati dipinti murali del Teatro Statale ebraico. Nonostante fosse stato nominato sovraintendente d’arte a Vitebsk, i suoi rapporti con la nuova URSS  erano destinati a fallire fin dall’inizio: le sue opere non celebravano la recente ” gloriosa Rivoluzione russa” e perciò il governo lo considerò una ” non persona” . Dovettero passare due anni prima che la famiglia Chagall si potesse trasferire in Europa. Lasciarono la Russia nel 1922. Il pittore scrisse . ” la mia arte ha bisogno di Parigi come un albero dell’acqua”. Durante la prima permanenza a Parigi, creò opere meravigliose e visionarie. Opere come Parigi  dalla finestra anticipavano il surrealismo di circa un decennio e fecero di Chagall uno dei pionieri del movimento.

Autoritratto con sette dita appartiene a una serie di dipinti di grandi figure, e mostra Chagall alle prese con la potenzialità del cubismo (un movimento artistico affermatosi agli inizi del Novecento), la vita a Parigi e la nostalgia della casa in Russia. Quest’opera insieme con il violinista e maternità, entrambi dipinti tra il 1912 e il 1913, fu acquistata nel 1914 da un collezionista per 900 franchi . Lo stesso anno, l’esposizione di quasi tutta la produzione parigina di Chagall  alla Sturm Gallery di Berlino segnò l’inizio della sua fama mondiale. Nei 20 anni successivi, l’interesse entusiastico dei collezionisti tedeschi gli garantì una generosa fonte di reddito.

Fare qualcosa ” con sette dita” è un’ espressione yddish che significa fare qualcosa bene o con abilità. In quest’opera Chagall è rappresentato mentre dipinge uno dei suoi quadri, Alla Russia, agli asini e agli altri. Nella parte superiore c’è scritto ” Parigi” e “Russia” in yiddish.

7 dita

“Dai tempi di Renoir nessuno ha avuto la stessa sensibilità per la luce che ha Chagall”, disse una volta Pablo Picasso, ” quando morirà Matisse, Chagall sarà l’unico pittore in grado di capire cosa sia davvero il colore”.

Chagall stesso scrisse: ” c’è un unico colore in grado di esprimere il senso della vita e dell’arte. E’ il colore dell’amore. L’abbondante uso del rosso porpora delle sue opere lascia pensare che sia proprio “il colore dell’amore”.

Nel quadro la passeggiata Chagall sventola Bella come una bandiera per la città di Vitebsk. Nell’altra mano, secondo il biografo Jackie Wullschlager, tiene stretto un uccellino, un riferimento all’immaginazione allegorica di L’ Oiseau Bleu, scritto da Maurice Maeterlinck, in cui l’eroe e l’eroina non trovano il vero amore finché non ritornano dai viaggi nella loro casa modesta.

la passeggiata

I nazisti  avevano occupato Parigi e Chagall si rifugiò in America . Una volta stabilito a New York , Chagall si guadagnava da vivere dipingendo  scenografie e dipingendo costumi per i balletti. Mentre viveva negli USA accaddero due eventi terribili . Nel 1941 i nazisti distrussero Vitebsk e nel 1944 Bella morì. Dopo la morte di Bella, causata da un infezione virale, Chagall fu sopraffatto dalla perdita e per un anno non riuscì più a dipingere. Nel 1945 una giovane inglese di nome Virginia Haggard fu assunta come domestica e quasi immediatamente divenne la sua amante. Cinque anni dopo Virginia lo lasciò portando con sé il loro figlio David. Poco dopo faceva cappelli a Londra. Secondo un articolo del Time Magazine pubblicato nel 1965, lei portò ordine nella sua vita, anche se spesso Chagall minacciava di chiedere il divorzio se lei avesse tentato di portare ordine anche nel suo studio. Rimasero insieme fino alla morte dell’artista, avvenuta circa 30 anni più tardi. Nel 1965 Chagall fece un famoso autoritratto con Vava in piedi vicino alla porta dello studio, forse con l’intenzione di fare pulizia.

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L’arte   delle vetrate, che risale all’XI Secolo, non richiede solo il lavoro di un pittore , ma anche quello di un artigiano in grado di trasferire il disegno sul vetro. Nel 1958 Chagall incontrò Charles Marq, maestro vetraio. Marq diventò il migliore amico del pittore e anche suo collaboratore nella seconda parte della vita di Chagall. Il loro maggior successo fu probabilmente la vetrata che rappresenta le 12 tribù di Israele, e che il Time definì una rivelazione nel vetro. Le stupende vetrate di Chagall si trovano in chiese e musei di tutto il mondo, ma solamente in una sinagoga, quella del Centro di medicina dell’Università di Hadassah a Gerusalemme. Questo tipo di arte fa emergere il pensiero di Chagall secondo cui tutti i colori sono amici dei loro vicini e amanti dei loro opposti.

Dopo aver lasciato definitivamente l’America nel 1948, Chagall trascorse gli ultimi anni della sua vita in diverse zone della Francia. . Nel 1985 Chagall morì all’età di 97 anni .

Charles Bukowski …(a volte le parole di qualcun altro ti dicono come stai…di Antonella Giroldini) …

addi in uno dei miei patetici periodi di chiusura. Spesso, con gli esseri umani, buoni e cattivi, i miei sensi semplicemente si staccano, si stancano: lascio perdere. Sono educato. Faccio segno di sì. Fingo di capire, perché non voglio ferire nessuno. Questa è la debolezza che mi ha procurato più guai. Cercando di essere gentile con gli altri spesso mi ritrovo con l’anima a fettucce, ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali. Non importa… Il mio cervello si chiude. Ascolto. Rispondo. E sono troppo ottusi per rendersi conto che io non ci sono. – Charles Bukowski – Official Italian Profile

La Storia del Museo Egizio di Torino (Antonella Giroldini)

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Impossibile non meravigliarsi per la ricchezza delle collezioni esposte. Nel corso degli anni, le collezioni sono state arricchite  da scavi in Egitto aggiungendo  ai depositi del Museo altri 26.500 oggetti.

E’ l’unico Museo al di fuori dell’Egitto che sia dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura egizia; si ritiene infatti che nel suo genere occupi il secondo posto per importanza, subito dopo quello del Cairo.

Il primo reperto giunto a Torino è il piano di una tavola d’altare in bronzo, acquistato nel 1628 dal re Carlo Emanuele I di Savoia, che nel 1723 trovò posto nella sede dell’Università di Torino, insieme a vari altri oggetti antichi. In seguito , re Carlo Emanuele III dette incarico a Vitaliano Donati , professore di botanica , di recarsi in Egitto e nel Levante per procurare altri reperti; le casse contenenti antichità e campioni di piante giunsero a Torino nel 1763.

Fu Napoleone ad attirare sull’Egitto l’attenzione del mondo , quando vi si recò nel 1798 per la sua spedizione militare accompagnato da 167 intellettuali noti con il nome di “savants”. La loro sarebbe stata la prima approfondita immagine di quella civiltà ; i ” savants” descrissero i monumenti ancora visibili all’epoca e raccolsero esemplari della flora e della fauna locali. Tra gli oggetti trovati dai soldati di Napoleone si annovera la “famosa stele di Rosetta”.

Fu appunto in questo contesto che il torinese Bernardino Drovetti, che aveva partecipato con il grado di colonnello alla campagna egiziana di Napoleone Bonaparte, divenne console di Francia in Egitto, rivestendo questa carica fino al 1814 e poi di nuovo negli anni della Restaurazione. Drovetti creò la sua prima collezione di 5.268 reperti e la offrì in vendita prima ai Savoia, poi al Louvre, ottenendo solo un rifiuto; alla fine ripropose la collezione al re di Sardegna Carlo Felice di Savoia, che il 24 gennaio 1824 l’acquistò per 400.000 lire.

Mentre si andavano formando i nuovi musei d’Europa, nel 1831 la collezione torinese fu finalmente aperta al pubblico. La struttura dell’edificio non permetteva di collocare ai piani superiori a sculture massicce, realizzate in pietra di particolare durezza, e quindi le statue rimasero confinate in due ampie gallerie al pianterreno (” lo Statuario”), completate nel 1852.  Alla collezione si aggiunsero 200 reperti egizi trasferiti a Torino dal Museo Kircheriano di Roma, in una data imprecisata intorno al 1894.

Quello stesso anno Ernesto Schiapparelli diventa direttore del Museo Egizio  e partiva per l’Egitto alla ricerca di altri reperti.

Nel 1942, durante la seconda guerra mondiale , il Museo dovette chiudere.  Dopo la fine della guerra, nel 1945, furono le forze alleate a riportare da Agliè a Torino tutte le antichità , cosicché l’anno seguente il museo poté essere riaperto al pubblico.

Lo Stato Italiano ha approvato l’istituzione di una fondazione mista, pubblica e privata, alla quale il 19 dicembre 2005 è stata affidatala gestione delle collezioni del Museo Egizio, per un periodo iniziale di 30 anni.

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La cucina giordana (Antonella Giroldini)

La cucina Giordana è gustosa e speziata in un modo gradevole e con piacevole attenzione anche alla presentazione dei piatti.

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Se le portate principali a lungo andare potrebbero risultare poco varie ( la carne è sempre di pollo o montone), la punta di diamante sono gli antipasti che comprendono hummus, crema di melanzane, polpette di carne d’agnello e semola di grano e yogurth liquido  e formaggio cremoso oltre che insalate.

il secondo è composto di pollo o montone. Lo shawarma a base di pollo o di agnello ( panini farciti con pezzi di carne tagliati da uno spiedo, simile al kebab) è molto diffuso e rappresenta uno dei tipici spuntini da acquistare per strada.

Il pane e chiaro e fatto di piccole forme rotonde ( aysh) e viene usato per accompagnare tutte le pietanze, oppure, aperto, viene riempito con un ripieno di carne o insalata o verdura. Così come gran parte della verdura, anche la frutta è di produzione locale.

I dolci sono spesso farciti con il miele e abbondano in cocco, sesamo, spezie, mandorle, noci, pinoli e naturalmente pistacchi.

In Giordania, come in altri Paesi Arabi, le bevande più diffuse sono il tè (shay), spesso aromatizzato con l’aggiunta di menta, salvia o cannella, e il caffè ( qahwah) . Si tratta di un caffè ” turco”, molto denso, dolce e aromatizzato con il cardamomo  ridotto in polvere: la bevanda non viene filtrata, bisogna attendere qualche istante prima di berlo per lasciare tempo ai fondi di depositari.

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BIENNALE DI VENEZIA 2013 – J.D. ‘ OKHAI OJEIKERE ( di Antonella Giroldini)

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Cresciuto in un piccolo villaggio della Nigeria ebbe pochi contatti con la fotografia fino all’età di 20 anni, quando comprò una economica Browie D.Presto la fotografia divenne la sua ossessione.

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Alla fine degli anni Sessanta cominciò a documentare diversi aspetti della cultura nigeriana nel periodo della transizione postcoloniale, un progetto che crebbe fino a raccogliere 5.000 fotografie. Proseguì questo progetto in maniere indipendente , animato dalla passione personale.

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La serie più importante di questa raccolta di compendiaria di immagini immortala le elaborate acconciature e i turbanti delle donne nigeriane. Queste foto documentano gli stili tradizionali di alcuni gruppi etnici. Le immagini non costituiscono semplicemente un’antologia tipologica dei volubili capricci della moda e della perizia virtualistica degli acconciatori , ma indirettamente possono ancora essere interpretati come un repertorio dei cambiamenti individuali e collettivi che accompagnarono la trasformazione della Nigeria mentre il paese entrava in una nuova era di autonomia e autodeterminazione.

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TRINIDAD ( Antonella Giroldini)

E’ tra le più antiche città coloniali, fondata dagli spagnoli. E’ una delle località più famose dell’isola, assolutamente imperdibile dal punto di vista turistico.

Come antica città d’arte ha iniziato una lenta ma vincente opera di recupero del centro urbano. Oggi il centro storico di Trinidad è dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. L’area riconosciuta d’interesse architettonico mondiale, e splendidamente restaurata, è piuttosto ampia, e include diverse piazze e tutte le vie adiacenti.image001Il bello di Trinidad è proprio la possibilità di passeggiare per le sue strade immergendosi nei ritmi di vita della popolazione, scoprendo locali dove fare una sosta , contrattando qualche acquisto di artigianato e soffermandosi ad ammirare scorci affascinanti che spuntano ad ogni angolo, tra le palazzine riverniciate nei colori solari del Caribe e le inferriate lavorate che ornano porte e finestre.

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Un vero gioiellino da scoprire con calma e, se possibile, nei vari orari perché ciascun momento della giornata ha un suo specifico e una sua bellezza, con l’ora della spesa, quella della siesta, quella dei giochi dei ragazzini, quella dello struscio, fino alle notti movimentate dalla musica e dai balli.

Plaza Mayor è la più antica delle cinque piazze cittadine, costruita nel ‘500 e successivamente rimaneggiata varie volte. Restautata con garbo ed eleganza, è di per sé uno spettacolo con la sua sobria e garbata eleganza.

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Attorno alla Plaza Mayor si snodano le vie del centro storico per le quali giravagare senxa meta e incontrare angoli di rara bellezza. image009

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Deliziosamente continuaiamo a perderci tra le stadine di Trinidad….

Antonella Giroldini