BIENNALE VENEZIA 2013 – ENRICO BAJ (Antonella Giroldini)

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L’artista è stato un esuberante iconoclasta, irriverente ed eterodosso negli impegni politici come nell’approccio all’arte. Continuò la tradizione surrealista, lavorando con sregolatezza infantile e sfidando continuamente ogni categorizzazione con un approccio libero, socialmente impegnato, spesso insofferente a ogni forma di autorità.

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Negli anni Settanta, Baj iniziò la produzione della serie Dame, stravaganti ritratti di donne realizzati con collage e assemblaggi , cui solitamente fa da sfondo una tappezzeria o un tessuto fantasia. Ogni figura è composta da strati di materiali che potrebbero essere presi da un cestino di cucito in una giornata di pioggia: bottoni, ninnoli, passamaneria, broccato, quadranti di orologi, nappe e metri di filo colorato . Le rappresentazioni comiche e primitive della forma umana suggeriscono marionette fatte a mano , ma nei pezzi qui esposti , l’artista impiega materiali domestici per creare rappresentazioni estremamente astratte o schematiche di voti umani, spesso con effetto inquietante.

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Andrea Bocconi ” il giro del mondo in aspettativa”

i luoghi di perdizione sono innumerevoli …i modi per sperdersi sono molti…..ve ne sono tanti quanti sono i  motivi che spingono una persona a sparire, a cancellarsi, a reinventarsi non solo un luogo ma una storia – o molte -, un’identità – o molte.

nei trattati di psichiatria la fuga è vista con sospetto, del resto il vagabondaggio era un reato fino a non troppo tempo fa. Insomma, chi si sperde deve avere una buona giustificazione  – la polizia o un coniuge tradito e vendicativo alle calcagna – altrimenti la gente pensa che sia un pò pazzo.

..ero entrato nell’agenzia con una richiesta semplice: volevo andare in India e poi in Tailandia, con un biglietto valdo per tre mesi. Ma Leila, la capa dell’agenzia che mi vendeva biglietti esoticida 15 anni, con un pugno di dollari in più mi offriva il mondo. Era una vertigine: vai dove vuoi, stai quanto vuoi, cambi destinazione tutte le volte che vuoi, con un’unica condizione: mai tornare indietro. cosi alla fine anche tornare a Lucca, alla fine del giro del mondo, darà l’illusione di aver raggiunto una nuova meta. …

…” Ma, se vado verso Ovest, allora il Sole…”

“Si, segui il tramonto per raggiungere l’alba”….

…o ero io quello che aspettava, il soggetto, quello che esercita l’azione, in questo caso però si tratta di un’inazione: aspettare. Ma cosa aspettavo? O cosa mi aspettavo? (strano modo di dire: si trattava di aspettare se stesso da qualche parte, come in un agguato?)

…in realtà prendevo un’aspettativa senza molte aspettative, forse era proprio questo il punto . mi ero sentito la sabbia fino al collo e avevo deciso di tuffarmi dentro per scomparire…..un naufrago volontario che aspettava il momento giusto per gettarsi dalla nave…

….ero sempre colpito da come mi vedevano gli amici: un nomade, un apache di quelli con l’ombrellino da donna e una giubba blu strappada da soldato…

…cercavo anzi un buon motivo per scomparire, per mollare come Mattia Pascal nome vita abitudini e sicurezze. Almeno con un giro del mondo potevo dire di averci provato, di essermi guardato intorno. Mai tornare indietro poteva diventare una possibilità….

L’avevo cercata in molti luogi, la bellezza, ma restava sempre il dubbio che più in là esistesse il posto perfetto, quello che avrei riconosciuto come mio…

perdersi nella bellezza è un’idea piuttosto rassicurante: i posti belli non mancan, spesso sono a buon mercato. Ma mi tornano in mente altri viaggi, altri luoghi in cui a un certo punto la bellezza era diventata soffocante o addirittura irritante. …..NO, la bellezza aiuta, ma non sarei partito dietro a quella illusione. Per fortuna ce ne erano tante altre

……un si o un no che nasce dalla pancia, il cervello lotta, la vittoria dipenderà dall’alchimia tra diversi fattori : la razionalità, l’impulsività, la fiducia nell’intuizione . Perdersi significa allora intravedere nella nebbia un modo di procedere diverso, più animale e più divino. E’ questione di fede in definitiva…

…disperdersi significa allargarsi, estendersi, deragliare dolcemente, comev un trenino che comincia a disegnare perfetti slalom sulla prateria, ora per sfiorare una quercia, ora per fare il giro di un lago. E’ naturalmente fermate a richiesta. E poi ci sono gli specialisti e i generalisti  e io mi onoro di essere della seconda categoria: saremo superficiali, ma almeno spaziamo …

…..puoi cambiare tutto, ma non il colore dei tuoi piedi, non il percorso della tua mente .Perdersi in un’altra cultura non può funzionare perchè l’errore è che in fondo non si vuole rinunciare a essere chi si è, si vuole essere diversi, quanto più diversi meglio è.

…Vi sono modi di perdersi abbastanza intenzionali. Ma vi è anche un “perdersi punto e basta”. Quali sono le qualità che fanno un viaggiatore?  curiosità, buona salute , spirito di adattamento , resistenza alla fatica. Tutti aspetti che fanno parte del carattere e delle condizioni fisiche. Ma il vero segno di nascita del viaggiatore io non ce l’ho. E’ il senso dell’orientamento.

Se scoraggiarsi significa perdere il contatto con il proprio cuore, perdersi d’animo è più grave ancora. E’ un afflosciarsi su se stessi, svanito ogni entusiamo . E’ vedere il viaggio come una gran perdita di tempo, un girovagare stanco, perchè non si sta bene da nessuna parte. E’ una sensazione che ci lascia disanimati, peivi dell’anima. Capita sempre, almeno a me , in qualche momento del viaggio . E allora tutto diventa assolutamente estraneo, se non addirittura ostile…

…non potevo fare a meno di pensare che quella rigidità muscolare corrispondesse a una rigidità mentale. Così come riuscivo a mascherla nello sport attraverso la grinta e la resistenza , forse anche nella vita davvero mi lasciano andare troppo poco. …

…l’incontro in viaggio è diverso: forse perchè non c’è tempo da perdere, è solo un incrocio e poi ciascuno va altrove, forse perchè non dico  che non abbiamo maschere, ma almeno sono più sgarcianti di quelle lasciate a casa, forse perchè siamo più aperti. Ma insomma, a volte si parla profondamente con uno sconosciuto , scoprendosi in due sensi: non solo dicendo molto di noi, ma anche dicendo ciò che non sapevamo ancora, e scopriamo appunto nel momento.

Alcune amicizie diventano subito amori, alcuni amori diventano amicizie (più difficile) , poi scompaiono nel mappamondo……

Il mare e l’anima di Zanzibar (Antonella Giroldini)

Forse Dio ha fatto sì che, dopo aver esposto nel mare uno dei suoi gioielli più belli, gli venisse dato dagli uomini un nome indimenticabile: “ZANZIBAR”, dal persiano “Zangh”, “nero” e “bar”, cioè “terra dei neri”.
L’arrivo a Zanzibar è piacevole. L’isola dall’alto appare coperta di vegetazione e l’aeroporto, privo d’inutili lussi, lascia intuire ciò che ci attende: un lembo d’Africa.
Una ventata d’aria calda ci investe in pieno volto, appena uscimmo dall’aereo. Caldo. Il respiro mozzato, come quando si prova un forte innamoramento, come quando si arriva in Africa.
Compiamo in poco tempo le formalità di rito e ci dirigiamo alla SPIAGGIA DI KINENGWA, una perla incastonata nel turchese dell’Oceano Indiano.image001Ed è tra le mete africane più seducenti; comprende le 2 isole principali Unguja e Pemba , più diverse piccole isole e atolli corallini.
Il suo nome evoca immagini di un paradiso esotico e sereno, pieno di palme di cocco, barriere coralline multicolori e, naturalmente, km e km di sabbie bianchissime lambite da acque cristalline.

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Iniziamo a prendere confidenza con l’isola e ci dirigiamo verso KIMKAZI, percorrendo una strada panoramica. E’ un piccolo villaggio di pescatori situato sul litorale meridionale dell’isola. Al nostro arrivo ci imbarchiamo a bordo di un battello di legno a motore, che ci conduce in alto mare, nella zona dove si trovano i delfini e nuotiamo con loro.

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Ci dirigiamo, poi, verso Chwaka che è il più grande insediamento lungo la costa nord – est, è un villaggio di pescatori sulla sponda occidentale della baia di Chwaka, grande insenatura circondata da mangrovie. A parte gli uomini e le donne che raccolgono crostacei e polpi su banchi di sabbia e sulle scogliere che emergono dalle acque poco profonde, la spiaggia è in gran parte deserta.

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Oltre alla spiaggia e alla baia, un’altra attrattiva è il mercato all’aperto alla strada sulla spiaggia. Un posto piuttosto tranquillo per buona parte del giorno che si anima con l’alta marea e nel tardo pomeriggi, quando i pescatori rientrano a bordo delle loro piroghe bglawa, per vedere il pescato del giorno. A nord del mercato c’è un gruppo di uomini intenti a intrecciare il vimini per catturare le aragoste; a sud del mercato, 100 metri dopo un gigantesco baobab alcuni artigiani costruiscono dhow di legno secondo metodi tradizionali.

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E prima di salutare il mare africano ci concediamo un NDIMENTICABILE GIORNATA DI MARE E SOLE NELLA BAIA DI MENAI: atolli tropicali e idilliache lingue di sabbia in uno sconfinato mare cristallino.

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Pranzo a base di grigliata di pesce fresco e crostacei.

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La giornata terminerà rientrando a vela con un meraviglioso tramonto zanzibarino.

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Ripartiamo con la sensazione che i giorni da dedicare a quest’avventura siano stati pochi, troppo pochi per essere riusciti a capire. Ma Zanzibar non chiede di essere capita, ma semplicemente compresa, nel senso di presa-con, con l’anima, con il cuore, con lo spirito del viaggiatore che osserva …..
Al nostro ritorno, sarà difficile è descrivere quello che abbiamo vissuto. Abbiamo vissuto tutto d’un fiato e siamo storditi al punto che ne siamo ubriache, e non riusciamo a raccontarle a chi non le ha vissute con noi… tutto sembra ridursi ad una semplice descrizione di fatti. Ma più dei fatti, conta l’emozione che s’è vissuta e rimane solo nostra…Ogni tanto ci fermiamo a ricordare il volto triste dell’ Africa, da vivere e non dimenticare che per ogni sorriso e per ogni colore c’è una mano tesa ed un vestito stracciato….
……E se noi siamo partiti benestanti, perché occidentali, siamo ritornati ricchissimi in quanto viaggiatori; viaggiatori in grado di osservare in silenzio, le visioni primitive e vere, in grado di ascoltare quello che l’Africa ha da dire. Ed è forse questa la ragione del viaggio……

…..E’ difficile abbandonare questo luogo, dove abbiamo ricordato che la vita è fatta anche di piccole cose, spesso indimenticabili. Sull’isola sicuramente abbiamo passato dei giorni meravigliosi, concedendoci qualche piccolo piacere in più, …perché spesso la felicità è proprio nella semplicità, nel cuore di un’ Africa più vera e sincera….
Ci siamo perse nelle strette vie della città antica al tramonto, mentre giunge l’ora della preghiera musulmana e la voce del muezzin riecheggia tra i vicoli; abbiamo vissuto il tramonto dalla spiaggia di Stone Town, con i “dhow”, che si tingono di arancione; abbiamo fotografato la gioia dei bambini che corrono scalzi dietro a giocattoli semplici; recarsi sulle spiagge della costa di est per ammirare l’alba, contemplando i colori del mare, chiedendosi come potrebbe essere diverso da ciò il Paradiso……..

Antonella Giroldini

BIENNALE DI VENEZIA 2013 – Jessica Jackson Hutchins ( Antonella Giroldini)

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Le forme di ceramica e cartapesta cadono e si gonfiano, si accalcano e si inclinano, si afflosciano e si appoggiano indolenti: possiedono una pesantezza palpabile e uno straordinario fascino tattile. Abbarbicate su tavoli, sedie e divani, o svettanti come escrescenze maligne, sembrano indefinibili nella forma come pensieri e contorte come formazioni geologiche, e trasmettono nella loro composizione un senso di esuberanza improvvisata. Pur essendo a volte inquietanti, le sculture di Hutchins sprigionano uno humor ed una tenerezza che scaturiscano dai materiali che l’artista inserisce nelle sue installazioni: vestiti scartati- indossati un tempo da Hutchins, da suo marito o da una delle sue figlie – ritornano spesso nelle installazioni, così come vari mobili che fungono da piedistalli o da elementi per composizioni scultoree. Le poltrone, i divani e gli oggetti che popolano le sculture di Hutchins provengono spesso dalla casa dell’artista e sono segnati da anni di uso. L’artista sostiene che il lavoro è motivato soprattutto da preoccupazioni personali: è un documento della sua vita intima, incapsulata negli oggetti di tutti i giorni e nelle sue sculture – un microcosmo in cu spazio domestico e presenze arcaiche sembrano poter convivere.

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Il suo lavoro, infatti, allude a culture antiche e forme archetipiche, spesso mediante titoli  che suggeriscono una sensibilità erudita e si scontrano con una natura sciatta e disordinata dalla sue forme scultoree.

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Mar Morto -Giordania (Antonella Giroldini)

152Situato al fondo delle Grande Depressione il Mar Morto venne citato sia nella Bibbia ( sulle sue sponde sorgevano le cinque città di Sodoma, Gomorra, Adham, Zeboim e Zoa) sia dal Coran, descritto da Greci e Arabi, chiamato “Mare di Lot” o “d’asfalto”, “Sedom”, “Dragone”, “Araba”. A chiamarlo per la prima volta Mar Morto furono i crociati. Tale proliferazione dei nomi è la prova del fascino e dell’interesse per questo grande lago salato ha sempre esercitato sulle popolazioni, sebbene l’aspetto, le dimensioni e la consistenza dello specchio d’acqua biblico fossero decisamente diverso da quello odierno. L’apporto idrico è stato drasticamente ridotto dagli interventi realizzati sul corso del fiume Giordano, suo principale immissario.

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La forte evaporazione e la combinazione di fattori geologici, hanno reso le acque del Mar Morto nove volte più salate rispetto alla normale acqua marina, rendendole così inadatte a ogni tipo di vita animale o vegetale. Esse hanno, però, notevoli qualità terapeutiche per varie specie di malattie della pelle, e oltre a essere curative, sono toccanti e depurative.

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Lungo la costa giordana del Mar Morto come avviene anche lungo la sponda israeliana, una serie di strutture di alto livello , offre la possibilità di fare bagni nel mare e di sfruttare le proprietà terapeutiche dei sali e dei fanghi dello specchio d’acqua . L’acqua del Mar Morto contiene ben 21 minerali, con elevate concentrazioni di magnesio, sodio, potassio e bromo . Queste sostanze conosciute come rimedi per la malattie della pelle ed elisir di bellezza fin dall’epoca biblica, sono utilizzate per trattamenti mirati . A poca distanza dalle sponde del Mar Morto si trovano le sorgenti termali di Hammamat Ma’ in, 264 metri al di sotto del livello del mare, al centro di un oasi. Le sue cascate ipertermali alimentano numerose sorgenti cale e fredde della valle e qui è tato costruito un complesso specializzato in applicazione di fanghi, massaggi in acqua, maschere di fango e trattamenti elettroterapici e cosmetici.

BIENNALE VENEZIA 2013 – Shinichi Sawada

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.Affetto da una forma di autismo, parla a stento e preferisce esprimersi attraverso le sue sculture: un bestiario in continua espansione di figure e maschere di creta, che ha iniziato a produrre nel 2001.

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Tutte le sue opere sono irte di centinaia di spuntoni di creta, che conferiscono loro una bellezza intricata e ornamentale anche un carattere minaccioso.

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Le sue figure sembrano alludere a una mitologia personale, ispirata forse all’antica tradizione popolare giapponese, che abbonda di bestie immaginarie, fantasmi e spiriti.  Alcune sue opere assomigliano anche a maschere del teatro NO, altrettanto ricco di esseri soprannaturali che calcano i palcoscenici giapponesi fin dal ‘300. Alcune ricordano i personaggi iperbolici che popolano manga e anime, e racchiudono sotto i loro tratti spinosi una grazia da cartone animato .

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E’ interessante notare come le sue opere richiamino alla mente anche le arti delle società tribali.

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Il Pianoforte di Torino a disposizione dei passeggeri (Antonella Giroldini)

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Dal 12 febbraio nella stazione di Torino Porta Nuova è stato messo a disposizione dei passanti un pianoforte: come dice un cartello sullo strumento “Play me, I’m Yours” (Suonami, sono tuo), chiunque può suonarlo come e per quanto tempo vuole. L’idea, promossa da Grandi Stazioni a Torino e in altre città italiane, da Milano a Venezia, riprende l’iniziativa ideata nel 2008 a Birmingham dall’artista britannico Luke Jerram di posizionare i pianoforti in luoghi pubblici, invitando le persone a suonarli. Da allora l’idea è stata riproposta in 46 città in tutto il mondo, con oltre 1.300 pianoforti messi a disposizione in parchi, stazioni ferroviarie, strade, piazze e fermate degli autobus.

Incuriosita da un articolo sulla Stampa di qualche mese prima decido di fermarmi a guardare. L’esperienza è davvero piacevole!

Ho un po’ di tempo prima di andare in Radio ad assistere alla trasmissione di Maurizio Condemi e decido  sbirciare. L’esperienza è piacevole! Rimango più di un oretta a leggere un libro con la musica più disparata a farmi compagnia.

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Il pianoforte a muro spuntato qualche giorno fa a Porta Nuova, resterà lì per sempre. È questa l’idea di Grandi Stazioni, visto il grande successo che ha avuto lo strumento. «L’entusiasmo dei torinesi nel suonare ed accogliere il piano ha sorpreso anche noi – dicono da Grandi Stazioni -. L’abbiamo noleggiato per un anno, ma abbiamo deciso di non toglierlo più. È un esperimento che ha meravigliosamente funzionato».

L’idea nata sette anni fa al musicista inglese Luke Jerram ha contagiato tutto il mondo. Da New York a Parigi, dal Perù all’Australia, gli «street piano» con il cartello «Play me, I’m Yours!» sono stati avvistati in 45 città, e ad oggi se ne contano 1300, alcuni dei quali decorati da artisti locali. Sono stati installati in parchi, mercati, strade, piazze, traghetti. Numero di persone stimato che l’ha suonato o ascoltato almeno una volta: sei milioni.

In Italia Grandi Stazioni l’ha portato a Venezia Santa Lucia, Roma Tiburtina, Milano Centrale e Torino Porta Nuova. La prossima settimana tornerà a Firenze Santa Maria Novella e arriverà a Napoli. Torino in questi giorni si è letteralmente innamorata di questo pianoforte nero. C’è chi viene apposta nell’atrio per regalare ai passanti un brano di Bach o Beethoven, e chi prima di salire sul treno si stupisce ancora. C’è chi si esercita o vuole imparare, chi dedica melodie a fidanzate o amici, e ci sono artisti esordienti che aggiungendo una chitarra improvvisano un mini concerto per il pubblico.

Su Facebook e Twitter è stato un tam tam di condivisioni e di gente che si è data appuntamento a Porta Nuova. «Bellissima iniziativa», scrive Giusi, «che fa emergere il talento nascosto dei musicisti più timidi», prosegue Carlo. «Prendersi cura di lui è un po’ come prendersi cura della città», twitta Marta. «Questo pianoforte fa bene alla salute – sorride un giovane pianista, Marco Signoritti -, sia a chi regala delle melodie ai passanti distratti e di fretta, sia a chi le riceve. Grazie a questo strumento, il programma della tua giornata cambia improvvisamente per qualche minuto».

Ho un po’ di tempo prima di andare in Radio ad assistere alla trasmissione di Maurizio Condemi e decido di fermarmi a sbirciare. Rimango più di un oretta a leggere un libro con la musica più disparata a farmi compagnia.