DREAMS – CHIOSTRO DEL BRAMANTE (Antonella Giroldini)

“Dream. L’arte incontra i sogni” è la mostra allestita al Chiostro del Bramante fino al 5 maggio che chiude la trilogia inziata con “Love” e proseguita con “Enjoy”. A cura di Danilo Eccher, l’esposizione accoglie opere di grandi artisti, inserite in un allestimento particolarmente suggestivo: da Mario Merz a Christian Boltanski, da Bill Viola a Luigi Ontani, da Anish Kapoor a Ettore Spalletti, da James Turrell a Tsuyoshi Tane, da Giovanni Anselmo a Kate MccGwire, i protagonisti offrono al pubblico direttamente i loro sogni. Ad arricchire il percorso, il progetto “Le voci del sogno”, mai realizzato prima: a disposizione del pubblico una speciale audioguida che trasmette 14 racconti inediti, scritti per l’occasione dallo scrittore, sceneggiatore e regista Ivan Cotroneo e recitati da altrettanti attori, da Valeria Solarino ad Alessandro Preziosi, da Valentina Cervi a Cristiana Capotondi, da Matilda de Angelis a Marco Bocci.

Orari di apertura
CHIOSTRO DEL BRAMANTE
Via Arco della Pace, 5 – 00186 Roma
Il Chiostro del Bramante è aperto tutti i giorni**:
LUN – VEN 10.00 – 20.00*
SAB – DOM 10.00 – 21.00*
*La biglietteria mostre chiude una ora prima
**La Caffetteria Bistrot, il Bookshop e il Chiostro hanno ingresso libero indipendentemente dalle mostre

 

MOSTRA AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE … LOVE (Antonella Giroldini)

Dal 29 settembre 2016 al 19 febbraio 2017 il Chiostro del Bramante di Roma ospita LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore, a cura di Danilo Eccher.

Il Chiostro del Bramante festeggia i suoi 20 anni di attività con una mostra dal carattere internazionale.

Una novità assoluta e imperdibile nel panorama delle proposte culturali capitoline degli ultimi anni che si candida a riportare la città di Roma in linea agli stessi livelli delle più stimate realtà espositive internazionali. Per la prima volta saranno riuniti tra i più importanti artisti dell’arte contemporanea, come Yayoi Kusama, Tom Wesselmann, Andy Warhol, Robert Indiana, Gilbert & George, Francesco Vezzoli, Tracey Emin, Marc Quinn, Francesco Clemente e Joana Vasconcelos, con opere dai linguaggi fortemente esperienziali (All the Eternal Love I Have for the Pumpkins della Kusama tra le più instagrammate al mondo) e adatte a coinvolgere il pubblico attraverso molteplici sollecitazioni.

La mostra è una rassegna unica che esibisce le svariate sfaccettature dell’Amore, il cui percorso inizia proprio con l’opera Love (1966-1999), un quadrato di lettere che Robert Indiana ha tracciato agli inizi degli anni Sessanta e che da allora continua a rappresentare l’icona più forte e suggestiva di un’immagine che si fa parola, che invade lo spazio, che espone l’essenza dell’arte stessa.

Amore è anche il mettersi in gioco in prima persona, la scelta estrema fra ammirare e partecipare, la necessità, ancor prima del piacere, di esserci nell’opera e non più guardarla da fuori. È ciò che Yayoi Kusama chiede a chi “entra” nella sua ultimissima Infinity Mirrored room, All the Eternal Love I Have for the Pumpkins (2016), dove lo spazio è ripetuto all’infinito in un caotico gioco di specchi nel quale bisogna immergersi, abbandonarsi, respirare la solitudine. Sono i confini tra uomo e mondo, tra verità e incanto che crollano nell’attimo in cui si chiude la porta dell’Infinity room e allucinati paesaggi di zucche restituiscono il mistero di atmosfere mentali, sogni psichedelici nei quali le dimensioni si falsano, le prospettive si capovolgono, gli oggetti e i personaggi si confondono.

Essenzialità stilistica e centralità assoluta dell’immagine sono poi protagoniste di Smoker #3 (3-D) del 2003 di Tom Wesselmann: un’immagine volutamente stereotipata e commerciale, dettata dalla cultura di massa che impone la propria grammatica, il proprio vocabolario che va a scardinare l’ordine sociale delle immagini attraverso un amore pop e coraggioso, che non teme di sfiorare anche la seduzione e l’erotismo.

Infido e paludoso è il terreno sul quale fluttuano gli acquarelli di Francesco Clemente: i suoi lavori respirano gli aromi delle spezie orientali e presentano infiniti volti, come Androgyne Selfportrait III (2005), dove sorriso e dolore convivono, dove la vita e la morte si abbracciano indissolubilmente. In queste immagini l’amore si riconosce in tutta la sua ambiguità, si riflette su una piccola barca alla deriva prima di affondare e alzare dal proprio cuore il simbolo della resa, come nell’opera Surrender (2015).

Allo stesso universo turbolento appartiene l’opera di Marc Quinn con le sue rappresentazioni vittoriose di una natura felice, colorati mazzi di fiori e quel tripudio abbagliante di luci che allontana il sospetto del male ma che lascia spiragli al biancore gelido della fine, del tempo scaduto: sono fiori recisi come in Thor in Nenga del 2009: colori bloccati dalla chimica, natura congelata, è il meraviglioso sorriso della morte che si affaccia, con arabeschi e pennacchi, in tutto il suo trionfo. Sono immagini dell’intensa bellezza dell’amore che custodisce la propria tragedia, la gioia di un sentimento profondo che affoga nelle lacrime di un inganno.

Ma è forse, in assoluto, l’immagine di Marilyn Monroe con One Multicoloured Marilyn (Reversal Series) del 1979-1986 a rappresentare, con più solida suggestione, il complesso ingorgo emotivo dell’amore. Marilyn è il volto stesso dell’amore, ed è naturale che la sua immagine sia diventata la firma di un artista come Andy Warhol: non solo l’icona più riprodotta della contemporaneità, ma un sogno visionario, allucinato di bellezza e disperazione, di eleganza e povertà, di infantile dolcezza e segreta perversione. Un’intera vita contorta e contraddittoria congelata nella santità di un volto, il silenzio di uno sguardo in cui convivono tutte le espressioni, tutti i sentimenti, tutte le immagini possibili.
Video-istallazioni raccontano nel percorso espositivo differenti linguaggi sperimentati da Ragnar Kjartansson, Tracey Moffatt, da Nathalie Djurberg e Hans Berg. L’amore è raccontato nell’ingannevole impianto teatrale di God (2007) di Ragnar Kjartansson e nelle romantiche e storiche scene dei baci cinematografici in Love (2003) di Tracey Moffatt; voci distorte di un mondo oscuro, fiori giganti di cartapesta che alludono a una bellezza inquietante, una struttura teatrale e filmica sono invece i protagonisti dell’opera The Clearing (Pastels and Red and Purple, 2015) di Nathalie Djurberg e Hans Berg.

L’arte e la scrittura raccontano indelebili frammenti di vita attraverso l’intima e luminosa grafia di Tracey Emin con My Forgotten Heart (2015); fragilità e timore si manifestano in tutta la loro evidenza nei corpi torturati e feriti delle sculture femminili di Mark Manders.

Con Francesco Vezzoli il linguaggio scultoreo e quello filmico si accarezzano in un dialogo sottilmente seducente: in Self Portrait as Apollo del Belvedere’s (Lover) del 2011 il silenzio marmoreo della statuaria romana imperiale e la cinematografia lussuosa e barocca alla Luchino Visconti si fondono nel gioco di un amore impossibile ricamato con lacrime, colto in sguardi intensi, profumato da labbra sfiorate.

E ancora un esercizio di equilibrio è quello espresso in Crystal Gaze (2007) da Ursula Mayer e l’algido involucro che avvolge le sue modelle eteree, bellissime e lontanissime, prive di respiro, manichini eleganti dai sentimenti impossibili sul vortice del peccato. Lo stesso feticistico rapporto con la statuaria classica è quello di Vanessa Beecroft che privilegia il corpo reale delle modelle e la fotografia come in VBSS.003.MP (2006). Altro azzardo è compiuto da Gilbert & George che in Metalepsy (2008) sfigurano i loro stessi corpi in un intreccio di immagini e in un gioco in cui è impossibile abdicare al grande sogno identitario di arte e vita.

E, perché l’arte è anche musica, a completare il caleidoscopico quadro di sensazioni Coração Independente Vermelho #3 (PA) [Red Independent Heart #3 (AP)] il gigantesco cuore fatto di posate di plastica rosse di Joana Vasconcelos canta, con la voce di Amalia Rodriguez, l’incanto del fado. Si contrappone così l’armonia della musica alla cantilena della tristezza, l’immagine simbolica dell’amore alla quotidianità ripetitiva raccontata dalle posate di plastica con cui la Vasconcelos rincorre ora gli aspetti più tormentati del simbolo, ora quelli più concettuali della grammatica compositiva.

Chagall – love an life a Roma al Chiostro del Bramante (Antonella Giroldini)

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Dal 16 marzo al 26 luglio 2015 Il Chiostro del Bramante ospita una Mostra interamente dedicata a Marc Chagall: uno dei maestri più innovativi del Novecento, nonché l’artista ebreo più apprezzato e ammirato del secolo.

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IMG_3749Con oltre 140 opere tra dipinti, disegni e stampe, con una collezione che viene esposta  integralmente per la prima volta in Italia, l’esposizione è dedicata in particolare ai lavori grafici dell’artista russo e ripercorre i temi fondamentali della sua vita e della sua produzione.

Dalle immagini della Sua infanzia e della gioventù nella nativa Vitebsk, fino alle illustrazioni per l’autobiografia – la mostra mette in luce il rapporto tra arte e letteratura, e tra linguaggio e contenuto nell’opera di Chagall. I lavori esposti riflettono l’identità poliedrica dell’artista , che allo stesso tempo è l’ebreo di Vitebsk  – autore e illustratore delle memorie dell’infanzia nell’autobiografico Ma Vie; il marito che correda di immagini i libri dell’amata sposa Burning Lights, First Encounter e From My Notebooks; l’artista che illustra la Bibbia, volendo rimediare così alla mancanza di una tradizione ebraica nelle arti visive; ma anche l’originale pittore moderno che attraverso l’uso dell’iconografia cristiana piange la sorte toccata nel suo secolo al popolo ebraico. L’opposizione ruota perciò attorno alle esperienze personali di Marc Chagall e ai temi centrali della sua poetica: la cultura ebraica, i cui simboli sono sempre presenti nei suoi quadri; l’influenza delle avanguardie francesi che egli seppe elaborare in maniera originale, la rappresentazione delle figure degli innamorati.

La mostra narra inoltre l’immagine che l’artista voleva trasmettere al mondo della cultura ebraica che influenzò profondamente e in modo indelebile la sua arte, come dimostrano i disegni e le stampe su temi che esercitano sempre un fascino su di lui e che rivelano un’interpretazione straordinariamente “umanista” delle Scritture.

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