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BIENNALE DI VENEZIA 2013 – John DeAndrea (Antonella Giroldini)
Esponente di spicco del fotorealismo, movimento statunitense della metà degli anni Sessanta del Novecento, John DeAnrea realizza opere figurative che portano al parossismo le intenzioni illusionistiche della scultura realistica. I suoi primi lavori erano realizzati con una resina, mentre più recentemente utilizza una tecnica estremamente raffinata che consiste nel sovrapporre strati di colore su calchi di bronzo, ottenendo superfici che hanno un’ inquietante verosimiglianza con la pelle umana. Realizza le sue opere partendo dall’osservazione di modelli dal vivo. Le sue figure sono quasi sempre nude e prive di qualsiasi messinscena: per questo possono essere considerate l’esempio più estremo della tendenza iperrealista a rappresentare la forma umana senza alcun accessorio personalizzante.
Essendo soggetti immediatamente riconoscibili, quasi riconoscibili dagli esseri viventi , le sue opere sono spesso apprezzate dal pubblico esclusivamente per il loro incredibile illusionismo.
Ariel II, l’opera qui esposta, fa parte di un trittico di figure che rappresentano una stessa persona in pose diverse.
BIENNALE DI VENEZIA 2013 – Phyllida Barlow (Antonella Giroldini)
Le sculture imponenti e instabili di Phyllida Barlow paiono simulare aspetti trascurati del paesaggio urbano – pile di macerie, ponteggi o mucchi di materiale di scarto – che l’artista reiventa servendosi di un arsenale degno di bricoleur. In opposizione alla sua formazione accademica adotta materiali economici e di recupero, con i quali da vita a oggetti biomorfi che ricordano le astrazioni più sensuali di scultori postminimalisti come Eva Hesse. Ha sviluppato una sorta di ecosistema artistico all’interno del quale ricicla e utilizza le sue sculture, smantellandole e riconfigurandole in nuove combinazioni.
Molta della sua produzione consiste in sculture di grande formato, apparentemente precarie , che spesso l’artista adatta a ogni specifico ambiente espositivo per occupare lo spazio con ostacoli e intralci.
l’invadenza di queste opere – che pendono minacciosamente dal soffitto o compongono estrosi agglomerati disseminati negli spazi della mostra – monomuntalizza i detriti della vita contemporanea, che l’artista raccoglie, cataloga e trasforma.




